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Isis e Boko Haram: bambini come burattini

Bambini. Sono solo bambini. Un’infanzia violata senza possibilità di difendersi. Non ho ancora metabolizzato l’orrore per le bimbe fatte esplodere da Boko Haram, che ecco comparire il piccolo giustiziere in erba, targato Isis. Sembra una macabra gara tra chi arriva all’orrore più clamoroso, tra chi sa essere più crudele. Cosa è peggio? Distruggere i propri figli, o trasformarli in distruttori?

Bambine, con la doppia colpa d’esser femmine e magari cristiane? Forse non è così. A farcelo pensare sono le parole di una sopravvissuta: una ragazzina di 14 anni, arrestata a Kano il 10 dicembre perché trovata con il corpo imbottito di esplosivo, ha raccontato la sua storia in una conferenza stampa che si era tenuta la vigilia di Natale. La giovane ha raccontato che erano stati i suoi stessi genitori, simpatizzanti di Boko Haram, a portarla in uno dei nascondigli del gruppo nella foresta. Lì, uno dei capi le avrebbe chiesto se sapeva cosa fosse un attacco suicida e se si sentiva in grado di farlo. “Io ho risposto di no, che non me la sentivo”. “Se lo farai, andrai in paradiso”, ma lei ha ribadito che non poteva farlo. Allora il tono è cambiato: “Se non lo farai, ti spareremo o ti sbatteremo in prigione”. Minacciata di morte, la piccola ha ceduto, ma ha assicurato di non aver mai avuto l’intenzione di farlo veramente. Una storia che getta una luce se possibile ancora più oscura su quanto sta avvenendo nel nord della Nigeria.

Secondo uno studio dell’International Center for the Study of Radicalisation and Political Violence, Boko Haram sarebbe il gruppo più feroce del mondo, anche più di Isis. Lo studio si basa sulle cifre dettagliate riferite al solo mese di novembre: in questo breve lasso di tempo, 664 attacchi jihadisti hanno causato la morte di 5042 persone nel mondo. Di questi, con oltre 800 morti in 30 attacchi, Boko Haram batte gli altri sedici gruppi jihadisti presi in esame, con una media di 27 morti per azione. L’Isis resta il più attivo e letale, con con 306 attacchi e 2206 vittime, ma che in media significano “solo” sette morti ad azione. Numeri che aiutano a inquadrare il fenomeno, ma non rendono giustizia alle vite distrutte di tanti bambini, resi mostri incolpevoli.

Non ho esperienza diretta di queste due situazioni, ma più volte ho incontrato altri ex bambini soldato, ne ho ascoltato le storie, visto l’orrore negli occhi. Più volte mi è stato spiegato perché tante milizie scelgano proprio i bambini: sono i più docili, una volta addestrati fanno quello che vuoi senza domande. Bambini come burattini. Terrorizzati dalla violenza, subita e vista sugli altri, indottrinati, spesso drogati per domarli. Una crudeltà assorbita e applicata, come unica via di sopravvivenza. L’enorme differenza che noto ora è che di solito i bambini soldato sono tenuti nascosti, date le conseguenze internazionali (quasi tutti i detenuti e i ricercati dal Tribunale Penale Internazionale dell’Aja hanno tra le accuse più infamanti l’arruolamento forzato di minori), mentre ora i volti imberbi vengono esibiti con orgoglio.

Chi si occupa della riabilitazione di questi bambini spiega che il momento più delicato è quello in cui il piccolo prende coscienza del male compiuto. E ne ha orrore. Da lì parte un difficilissimo lavoro psicologico, ma i segni restano indelebili. E poi c’è il reinserimento nella società, altrettanto difficile: chi sa di cosa si sono macchiati, non li vuole più. Bambini uccisi due volte, in una perversione della mente adulta che se ne serve per biechi scopi di potere.

Che si tratti di bambine cedute per essere usate come bombe o bambini cresciuti nel mito del secondo emendamento e portati a sparare fin da piccoli, che sia il figlio di un foreign fighter magari rapito alla madre e catapultato nei campi di addestramento di Siria, o un bambino israeliano cui il padre mostra come imbracciare le armi, si tratta sempre di genitori che incitano i figli, li instradano su vie di una deviata eterna felicità o di un peggio inteso eroismo, convinti probabilmente di fare la cosa “giusta” per loro. E ne traggo l’imperativo morale che dobbiamo interrogarci – tutti – sull’educazione all’odio e alla violenza a cui sottoponiamo, in maniera più o meno evidente, più o meno consapevole, i nostri figli.