A voglia a dire che trivellano per la sicurezza energetica e per amor di patria. La verità è che trivellano solo per denaro, e adesso che il denaro scarseggia, ecco. Dall’Artico di Groenlandia scappano tutti.
La norvegese Statoil, la danese Dong – Danish Oil and Natural Gas – e la francese Gdf Suez restituiscono le licenze petrolifere perché trivellare in Artico è costoso, e ad alto rischio. Dal canto loro, l’olandese Shell, la danese Maersk e la scozzese Cairn Energy hanno chiesto una moratoria di almeno due anni sulle loro licenze.
La Groenlandia non fa parte dell’Ue – il governo è favorevole alle trivelle perché pensa (o si illude?) di poter aumentare la sua indipendenza economica da Copenhagen. Ci sono un po’ di proteste a Nuuk, la capitale, e da parte di Greenpeace, ma tutto il processo di concessioni petrolifere si svolge relativamente sereno.
La Cairn Energy di Edinburgo è quella che si accaparra il maggior numero di concessioni: sogna di trovare circa sei miliardi di barili di petrolio, parlano della Groenlandia come di una delle “top ten” tra le riserve petrolifere del mondo. Ma sfortunatamente per la Cairn Energy anche gli otto pozzi, trivellati nel 2010-2011 con un investimento di circa 7 miliardi di dollari si rivelano tutti a perdere. Adesso hanno chiuso i loro uffici di Groenlandia e hanno licenziato il 40% del personale. Quindi quattordici pozzi su quattordici sono sterili.
La norvegese Statoil ha deciso di spostarsi dalla Groelandia al Barents Sea dove le cose sembrano essere piu facili per loro. La Gdf Suez esculde di tornare in Groenlandia in un futuro prossimo: “Given the current situation on the market together with the fact that Greenland is an area with very little infrastructure, rather large environmental requirements and a very challenging environment, it will be very expensive to develop these fields” dice John Finborud il direttore di GDF Suez Greenland.
A mai più rivederci.
Qui le immagini delle concessioni petrolifere in Artico
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