Matite in difesa della libertà di stampa è il titolo del volume edito da Rcs e distribuito l’altro ieri nelle edicole di Milano ed oggi in quelle di tutta Italia. E’ un volume che raccoglie oltre 300 pagine di vignette di disegnatori di tutto il mondo, incluse alcune vignette pubblicate da Charlie Hebdo.
“Quando la direzione del Corriere della Sera ha deciso di compiere un gesto concreto per aiutare la rivista Charlie Hebdo – scrive Paolo Rastelli nel presentare l’iniziativa – ricordare tutte le vittime dei terroristi – non solo i disegnatori, ma anche gli agenti di polizia e gli avventori del supermercato kosher – e, nello stesso tempo, testimoniare la vocazione del nostro giornale contrario a qualunque fanatismo, è venuto naturale pensare alla pubblicazione di queste vignette spontanee in un libro (in edicola oggi a Milano e da domani, 15 gennaio, nel resto d’Italia) il cui ricavato sarebbe stato destinato al settimanale francese”.
Una bella iniziativa, promossa, certamente, nella convinzione di fare la cosa giusta ed amplificare la forza del tratto delle matite di tutto il mondo che, nelle ore immediatamente successive alla strage terroristica di Parigi, sono corse sulla carta a disegnare, con la straordinaria, talvolta irriverente, efficacia della satira, straordinari messaggi di libertà.
Peccato solo che, pur di realizzare il volume, si sia scelto di ignorare pressoché completamente i diritti d’autore morali e patrimoniali dei vignettisti ai quali, nella maggior parte dei casi, sembrerebbe non sia stato chiesto neppure il permesso di pubblicare le loro opere che, peraltro, in molti casi, sono state stampate e raccolte nel volume a bassa risoluzione – perché scaricate direttamente da Internet – e in sequenze incomplete per scelte editoriali dello stesso giornale.
A poche ore dall’uscita del volume nelle edicole milanesi, però, in Rete è scoppiata la polemica alla quale il Corriere della Sera ha risposto così: “Post Scriptum (dopo le polemiche): Il ricavato di questa operazione, è bene ribadirlo, sarà devoluto interamente a favore delle vittime della strage e del giornale Charlie Hebdo. Aspettare di avere l’assenso formale di tutti gli autori, a nostro giudizio, avrebbe rallentato in maniera sensibile l’operazione. Comunque sul libro, in quarta pagina, c’è scritto con chiarezza che «l’editore dichiara la propria disponibilità verso gli aventi diritto che non fosse riuscito a reperire».
Ma la circostanza che si sia trattato di un’iniziativa a difesa della libertà di espressione e che il ricavato dell’opera sia integralmente devoluto alle vittime della strage, evidentemente, non è abbastanza per giustificare la grave caduta di stile – e non solo – di un editore che mentre da una parte, frequentemente, punta l’indice contro i giganti del web, rei di cannibalizzare gli altrui diritti d’autore, sfruttandoli senza chiedere il permesso, dall’altra, si auto-attribuisce il potere di riformare la legge sul diritto d’autore, ribaltando il principio secondo il quale prima di utilizzare l’altrui opera creativa occorre chiedere ed ottenerne il permesso.
Una regola che sembra non valere per il Corriere che l’ha letteralmente ribaltata, scegliendo di pubblicare tutto salvo riconoscere quanto dovuto agli autori che, pur non essendo stati contattati prima, dovessero poi farsi vivi.
Si è trattato – credo vada scritto con pacatezza ma senza reticenze, né ambiguità – di un brutto episodio, non solo e non tanto per il profilo economico – pure rilevante giacché si sono sfruttate commercialmente oltre trecento pagine di vignette altrui, nella più parte dei casi senza riconoscere un euro agli autori – ma anche e soprattutto perché, in un’iniziativa promossa in nome della libertà di espressione, si è travolta la libertà di pensiero di quanti – autori delle vignette in questione – magari non avrebbero voluto che la loro opera finisse con il diventare parte del volume collettivo, commercializzato dal Corriere della Sera.
Libertà di manifestazione del pensiero per tutti, significa anche libertà di decidere quando, come e dove ogni manifestazione del proprio pensiero debba circolare, essere condivisa e commercializzata. Anche se lo si dimentica molto spesso, il diritto d’autore serve anche a questo. Non si difende la libertà di manifestazione del pensiero con le matite degli altri senza chiedere permesso.
Guai però a volersi ergere a giudice e condannare le scelte imprenditoriali altrui, solo, magari, la prossima volta quando qualcuno dirà che la legge sul diritto deve essere rivista radicalmente perché è troppo difficile da contemperare con la società dell’informazione nella quale viviamo, c’è da augurarsi che, almeno dalle colonne del Corriere, possa trovarsi supporto anziché ostinata resistenza.
Il mondo è cambiato e se non si cambiano le regole – senza, ovviamente, profetizzare la fine del diritto d’autore ma solo una profonda rivisitazione delle dinamiche di circolazione dei diritti sui contenuti e del novero delle cosiddette libere utilizzazioni – può capitare che, persino un grande quotidiano italiano, alfiere convinto della difesa della proprietà intellettuale online, si ritrovi, con le più nobili intenzioni, a violare la legge e pubblicare un libro pirata.
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