“La mia prima reazione è stata quella di pensare che erano corpi speciali della polizia […] Sono stato abbastanza folle da chiedere con voce tremante: ‘chi siete?’ Uno mi ha risposto in francese: ‘Non abbiate paura, non vi faremo male’. E ha sparato un colpo in aria. […] Ancora oggi non riesco a capire che cosa siano venuti a fare quei due assassini nel mio ufficio. Si sono sbagliati o cercavano volevano far piazza pulita di eventuali minacce?”.
La sua testimonianza rimbalza sulla rete cinese ma, paradossalmente, non per il suo contenuto. Wang è stato prima intervistato dalla televisione francese, Tf1 e – solo il 9 gennaio – dalla televisione cinese Cctv. In onda la mattina successiva è stato avvertito da un amico che l’avevano descritto come “l’intervista esclusiva” a un testimone che “ha accettato di essere intervistato solo dopo aver appreso che i due terroristi erano morti”. Un codardo in poche parole. Gli avrebbero anche messo in bocca parole non sue.
In una commovente lettera al settimanale Caixin, Wang ci tiene a far chiarezza sulla situazione. “I miei amici mi avevano messo in guardia sulle interviste, e mia madre mi aveva detto più volte di tenere un profilo basso e, se necessario, di tornare in Cina […] Ma lavoro anch’io nei media e so che il pubblico ha il diritto di sapere. Il primo sparo è avvenuto in mia presenza. Difficilmente potrei giustificare di non esserne stato testimone”.
Secondo gli stessi editori di Caixin, la versione cinese di questa lettera ha ricevuto più commenti di ogni altra storia abbiano mai pubblicato. “Più potente è l’agenzia di notizie, più è facile per i giornalisti agire come registi e sceneggiatori” è quello che li riassume tutti. E ancora: “Ma i giornalisti cinesi sono tutti bugiardi patologici?”. Ecco, è consolante sapere che un attacco terroristico a un giornale satirico può portare un paese come la Cina a criticare liberamente la propria tv di Stato. E, forse, è un esercizio che dovremmo cominciare a fare anche noi.
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