“La riduzione strutturale dell’orario avrebbe uno straordinario impatto sulla vita individuale e sociale, attenuando la diffusa alienazione (da lavoro e dalla sua mancanza) e liberando tempo e spazio mentale per lo sviluppo personale, la partecipazione sociale, l’attività di produzione e scambio non monetario”. Così Marco Craviolatti, nel suo libro E la borsa e la vita, documentatissimo saggio-pamphlet che apre – o riapre la questione in Italia.
Attualmente l’orario medio di lavoro è in costante diminuzione. Le ore complessive lavorate dalla totalità della popolazione attiva sono sempre meno, complessivamente si lavora sempre di meno. Questa situazione non si traduce però in un aumento del tempo libero e del benessere. La diminuzione dell’orario medio, anziché essere ripartita equamente fra la totalità della popolazione attiva, è il risultato di una netta scissione fra una fascia di lavoratori che lavorano troppo e una fascia di lavoratori che lavorano troppo poco o che non lavorano affatto.
Ad esempio la media settimanale di lavoro della popolazione attiva in Inghilterra è di circa 21 ore, ben al di sotto dell’orario settimanale standard di un singolo lavoratore a tempo pieno. Questo significa che, rispetto alla quantità di lavoro di cui c’è bisogno, qualcuno lavora troppo e qualcuno è disoccupato.
Dal 1969, quando si è passati dalle 48 alle 40 ore settimanali, non si sono più registrate diminuzioni dell’orario standard di lavoro. Eppure da allora la produttività del lavoro è aumentata vertiginosamente. Nello stesso periodo i salari non sono aumentati in modo significativo: ciò vuol dire che i benefici dell’aumento di produttività sono andati quasi esclusivamente a vantaggio dei profitti.
Secondo Marco Craviolatti una politica di progressiva di redistribuzione e riduzione dei tempi di lavoro risponde alle contraddizioni e ai problemi attuali dei nostri sistemi economici. E contribuirebbe ad un significativo aumento della qualità della vita individuale e sociale.
Prima di tutto si dovrebbe contrastare la tendenza a far lavorare sempre di più gli occupati (esempio: il taglio dei riposi e l’aumento degli straordinari obbligatori chiesto da Marchionne ai dipendenti della Fiat). In Italia gli straordinari sono ancora fiscalmente incentivati mentre in altri paesi d’Europa la tendenza è opposta: in Olanda per esempio il 50% della forza lavoro ha un contratto part-time (sulle 30 ore). In questi paesi i contratti part time comprendono anche ruoli di responsabilità; in Italia invece il part-time tende ancora a costituire solo un ghetto per i lavori poco qualificati, commerciali, di servizio ecc.
Diversi studi statistici presentati dall’autore dimostrano che i costi sostenuti delle imprese, a fronte di una diminuzione dell’orario di lavoro dei propri dipendenti, non sono così gravosi. L’assunzione di nuovo personale non è proporzionale alle ore “perdute” poiché una riorganizzazione più efficiente dei tempi e dei compiti consente all’impresa di ripartire il carico lavorativo anche fra i già dipendenti. Inoltre un orario lavorativo più breve determina un aumento della produttività oraria dei lavoratori, una diminuzione degli infortuni e delle malattie e l’abbattimento degli errori per distrazione o stanchezza. “Orari di lavoro brevi vogliono dire lavoratori più motivati, efficienti e lucidi; lavorare di meno determina un miglioramento quantitativo e qualitativo della prestazione lavorativa. Questi vantaggi quindi potrebbero quasi completamente compensare l’aumento dei costi di assunzione e gestione di nuovo personale”. Un eventuale aumento del costo del lavoro contribuirebbe a stimolare gli investimenti produttivi; le imprese infatti sarebbero incentivate ad investire in innovazioni tecnologiche e organizzative per aumentare la produttività del lavoro, invece che cercare soltanto di ridurre il più possibile la quota di risorse destinata ai salari.
Un secondo passaggio proposto da Craviolatti sarebbe quello di dare la possibilità a chi vuole di ridurre il proprio orario di lavoro e quindi anche il salario. Esistono molte persone che già oggi vorrebbero lavorare meno guadagnando meno ma non possono poiché i loro contratti non lo permettono. Attualmente in Italia tutte le forme di astensione volontaria dal lavoro sono blande, ostacolate e quasi sempre non retribuite. Vicino a noi, la Swiss Telecom ha recentemente offerto ai propri dipendenti la possibilità di rinunciare a due settimane di stipendio e di lavoro per poter allungare le proprie ferie estive.
Si potrebbero poi aumentare e incentivare le forme più o meno retribuite di congedo temporaneo dal lavoro, come il congedo familiare, o ipotizzare forme nuove, come il congedo civico, dove la sospensione del lavoro sarebbe legata al proprio impegno in attività di volontariato a favore della società.
Craviolatti delinea anche una possibile riforma strutturale che vada nella direzione di una riduzione generalizzata del tempo di lavoro. La tendenza potrebbe essere quella di utilizzare degli incentivi fiscali per rendere progressivamente più convenienti orari di lavoro intermedi fra il part time e il full time (circa 30 ore settimanali) e contemporaneamente disincentivare l’adozione di tempi più lunghi o più brevi rispetto a questa fascia.
(Ha collaborato Matteo Volpengo)
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