L'economista Giacomo Vaciago: "Grazie alla mossa della Banca centrale di Berna la voluntary disclosure di Renzi sarà un successo: ora riportare i soldi in Italia conviene. Torneranno almeno 10 miliardi". Festeggiano anche i frontalieri pagati in valuta svizzera e i commercianti di confine. A rischio le aziende locali con prodotti di fascia medio bassa e chi ha sottoscritto mutui in franchi
“In pratica, la Svizzera regala al contribuente italiano i soldi che dovrà dare al Tesoro per riportare in Italia il suo capitale. Matteo Renzi è un uomo fortunato, potrà dire che è merito suo…”. Giacomo Vaciago, economista e docente all’Università Cattolica di Milano, legge così uno dei principali – almeno per i cittadini della Penisola – effetti dell’inattesa decisione della Banca nazionale svizzera, che giovedì ha deciso di abbassare lo “scudo” che teneva artificialmente basso (a 1,20 euro) il valore del franco. Con il risultato che la valuta si è immediatamente apprezzata fino al 28% nei confronti dell’euro, per poi assestarsi su una sostanziale parità con la moneta unica. E un effetto collaterale, appunto, graditissimo per gli italiani che conservano denari nei forzieri svizzeri: i loro depositi denominati in franchi si sono rivalutati in un solo giorno del 15% circa.
Non potrebbe esserci spinta migliore per l’adesione alla “voluntary disclosure” approvata dal Parlamento a dicembre, tanto più dopo che, sempre giovedì, si è diffusa la notizia che la Confederazione e l’Italia hanno raggiunto il sospirato accordo sullo scambio automatico di informazioni bancarie. Insomma: chi ha nascosto una fortuna al fisco italiano ora ha tutto l’interesse ad autodenunciarsi e riportarla nei confini nazionali, perché da un lato decade il finora proverbiale segreto garantito dagli istituti elvetici, dall’altro lo stock di risparmio vale ora, appunto, decisamente più di prima. E in diversi casi – soprattutto per chi fa rientrare somme inferiori ai 2 milioni e “stagnanti”, cioè risalenti a diversi anni fa, per esempio le vecchie eredità – la somma di imposte e sanzioni risulterà inferiore alla plusvalenza garantita dalla mossa della banca centrale. Come dire che fare pace con l’Agenzia delle Entrate comporterà addirittura un guadagno. Di conseguenza, Vaciago stima in almeno 10 miliardi di euro il risultato, per le casse dello Stato, dell’operazione rientro dalla Svizzera.
Per i frontalieri stipendi più alti. E i commercianti di confine festeggiano – Ma la mossa di Berna comporterà conseguenze positive anche per quelli, tra gli oltre 60mila lavoratori frontalieri italiani, che sono pagati in franchi: grazie alla svalutazione dell’euro si vedranno aumentare lo stipendio. Festeggiano di conseguenza anche i Comuni di confine, che riceveranno maggiori ristorni – la percentuale delle tasse pagate dagli italiani che lavorano oltreconfine che viene restituita dal governo elvetico alla Penisola – o equivalenti compensazioni. Uno dei punti dell’accordo fiscale che sarà firmato a febbraio prevede infatti l’eliminazione del meccanismo dei ristorni, sostituito da una spartizione a monte: alla Svizzera andrà fino al 70% del totale dell’imposta prelevabile alla fonte, all’Italia il resto. Soddisfatti, poi, i commercianti delle zone di confine, che sperano di vedere tornare gli svizzeri a riempire i carrelli come avveniva ai tempi della lira.
Tra i “sommersi” le aziende svizzere con prodotti di fascia bassa. Salvo il lusso – C’è anche chi ci perderà, ovviamente. A partire dal turismo – per chi va in vacanza del Paese tutto sarà più caro – e dalle aziende elvetiche che producono per esportare. “Ma per quelle del lusso, che peraltro solitamente fanno il listino prezzi in dollari, non ci saranno ripercussioni”, spiega Vaciago a ilfattoquotidiano.it. “Sul prezzo di un orologio da 100mila euro e sulla sua clientela di riferimento una rivalutazione del cambio del 15-20% incide poco. Discorso diverso per i prodotti di fascia medio bassa. Queste aziende, per non andare fuori mercato, dovranno andare a produrre all’estero”. Non per niente l’amministratore delegato di Swatch ha definito la decisione “uno tsunami“… “Però, intendiamoci: se la Banca nazionale in questi tre anni non fosse intervenuta, il cambio sarebbe stato a livello di parità o anche più basso già da tempo. Dunque hanno avuto anni di “grazia” per investire e rafforzarsi, e ora devono semplicemente fare i conti con il valore effettivo della valuta locale”. Non è detto però che tutti riescano a restare a galla. E l’impatto potrebbe farsi sentire anche sull’occupazione.
Vincenzo Longo, market strategist di Ig, prevede impatti sui prezzi della media industria del cioccolato – non per niente Lindt ha annunciato che utilizzerà di più gli stabilimenti esteri – mentre le grandi case farmaceutiche si salveranno visto che “sostengono i loro costi in maggior parte fuori dalla Svizzera dove hanno numerosi siti produttivi”. In crisi anche i cambiavalute: il Corriere del Ticino dà conto di diverse chiusure di attività a causa delle perdite subite giovedì. E, secondo l’agenzia Bloomberg Deutsche Bank e Barclays, hanno perso rispettivamente 150 e 100 milioni di dollari.
Per i cantoni Pil più basso dell’1,3% rispetto al previsto – Certo è che già si moltiplicano le previsioni fosche sugli effetti della decisione sull’economia svizzera: Ubs pronostica “una marcata decelerazione” e ha ridotto le prospettive di crescita per il 2015 allo 0,5% rispetto all’iniziale +1,8%. Nel 2016 la progressione del prodotto interno lordo dovrebbe attestarsi all’1,1%, a fronte dell’1,7% stimato in precedenza. E il responsabile degli investimenti della banca, Mark Haefele ha detto che la libera fluttuazione dei cambi rispetto all’euro comporterà un calo dell’export elvetico di 5 miliardi di franchi, con conseguente calo del pil dello 0,7 per cento.
Tremano le banche polacche: a rischio al restituzione dei mutui in franchi – Sullo sfondo, le conseguenze per il resto dell’Eurozona. A partire da un’ulteriore perdita di terreno dell’euro nei confronti del dollaro. Ma c’è anche chi ricorda come rischino di subire una mazzata i cittadini polacchi, ungheresi e delle Repubbliche baltiche che negli anni scorsi, attirati proprio dalla stabilità della valuta, hanno sottoscritto mutui in franchi svizzeri. In Polonia quasi la metà dei mutui immobiliari è denominata in valuta elvetica, per un controvalore di 35 miliardi di dollari. Prestiti le cui rate di rimborso, ora, sono destinate a salire alle stelle, moltiplicando i casi di morosità e default. Con sicure ripercussioni sul sistema bancario del Paese, che vedrà aumentare i crediti in sofferenza.