Un'enormità se si pensa che una città come Milano, più del triplo degli abitanti del capoluogo sicialiano, spende ogni anno quattro milioni e centomila euro per pagare il gettone di presenza ai suoi consiglieri comunali. Farsi eleggere può essere un vero affare. Merito anche di una norma che prevede il rimborso per il datore di lavoro del consigliere
È tra i consigli comunali più costosi d’Italia, secondo soltanto a quello della Capitale. Cinquanta componenti, un tetto da 3260 euro al mese per un massimo di 21 gettoni di presenza ogni trenta giorni, e un totale di cinque milioni e duecento mila euro all’anno: a Palermo, farsi eleggere al consiglio comunale può essere un vero affare. Merito anche di una norma che prevede il rimborso per il datore di lavoro del consigliere che si assenta a causa di motivi istituzionali: indennizzo che è chiaramente a carico del comune. Solo che la documentazione delle presenze dei consiglieri comunali del capoluogo siciliano presenterebbe qualche irregolarità.
Così almeno denunciava un esposto recapitato alla Guardia di Finanza: nei giorni scorsi i militari delle fiamme gialle sono dunque arrivati a Palazzo delle Aquile per sequestrare gli atti relativi ai gettoni percepiti dai consiglieri della terza commissione, quella che si occupa della polizia urbana, dell’annona, del cantiere municipale e delle aziende ex municipalizzate. Al momento si parla soltanto di un’acquisizione di atti, per verificare quanto ci sia di vero nell’esposto denuncia.
È un fatto, però, che il consiglio comunale di Palermo sia tra i più costosi d’Italia: ogni anno i consiglieri pesano sulle casse di Palazzo delle Aquile per cinque milioni e duecento mila euro. Un’enormità se si pensa che una città come Milano, più del triplo degli abitanti di Palermo, spende ogni anno quattro milioni e centomila euro per pagare il gettone di presenza ai suoi consiglieri comunali. Quasi la stessa cifra del comune di Napoli, che ha mezzo milione di abitanti in più rispetto al capoluogo siciliano ma spende appena quattro milioni e duecentomila euro per pagare lo stipendio al proprio consiglio comunale. Inferiore la somma spesa anche dal comune di Torino, che si ferma a tre milioni e seicentomila euro, e da quello di Genova, che elargisce ai suoi consiglieri meno di due milioni l’anno.
L’esorbitante costo del consiglio comunale palermitano annida la sua origine nel gettone di presenza: per ogni “comparsata” in consiglio o in commissione i cinquanta consiglieri ricevono infatti 156 euro, per un tetto massimo di 21 gettoni ogni mese. Cifra che è seconda soltanto al comune di Verona, dove però, il limite massimo di rimborso mensile per i consiglieri è calcolato in 1.446 euro, meno della metà rispetto ai 3.260 guadagnati dagli eletti palermitani.
Il capoluogo siciliano non è solo il comune dove i consiglieri comunali guadagnano di più. È anche quello dove a guadagnarci sono persino i datori di lavoro dei fortunati che riescono a farsi eleggere a Sala delle Lapidi. L’azienda privata che vede un suo dipendente eletto al consiglio comunale può infatti contare sul rimborso lordo dell’intera giornata in cui il proprio lavoratore si è assentato per impegni istituzionali. E siccome tra riunioni del consiglio e delle commissioni, gli eletti sono impegnati quasi ogni giorno, solo nel 2014 il comune di Palermo ha dovuto scucire altri 500 mila euro per rimborsare le aziende che danno un lavoro ai consiglieri.
Cifre fuori controllo che saranno adesso passate ai raggi X dalla Guardia di finanza. Tra i componenti della terza commissione, quella oggetto del blitz delle fiamme gialle, c’è anche Angelo Figuccia, il consigliere di Forza Italia autore di una mozione per l’istituzione della “festa della famiglia naturale”. “I motivi dell’omosessualità vengono da traumi psicologici” dichiarò l’estate scorsa al fattoquotidiano.it, salvo poi fare marcia indietro dopo essere stato sommerso dalle polemiche. Vicepresidente della commissione finita al centro degli accertamenti dai militari, invece, è Andrea Mineo, anche lui di Forza Italia, finito al centro delle cronache quando l’edizione palermitana di Repubblica pubblicò un’intercettazione della Dia, risalente al 2007.
“Ora c’ è questo Campanella” dice Mineo, che all’epoca aveva 20 anni, riferendosi al collaboratore di giustizia Francesco Campanella, ex presidente del consiglio comunale di Villabate. Il suo interlocutore era Pietro Scotto, trafficante di droga assolto nel processo per la strage di via d’Amelio e appena uscito di galera. “È un cornuto questo Campanella” dice Scotto. La replica di Mineo è netta: “Sta combinando danni con tutti: Quei figli di pulla dei pentiti”. Mineo è un figlio d’arte: suo padre è Franco Mineo, ex deputato regionale fedelissimo di Gianfranco Micciché, condannato in primo grado nel giugno scorso a otto anni e due mesi per peculato e intestazione fittizia di beni che in realtà sarebbero di proprietà del boss dell’Acquasanta Angelo Galatolo.