L'ex amministratore delegato, intercettato al telefono con l'allora titolare dello Sviluppo economico del governo Monti, ammette che la "mediazione" pagata dalla società di ingegneria petrolifera era una mazzetta destinata alla politica algerina per ottenere commesse
Gennaio 2013. Paolo Scaroni, allora amministratore delegato di Eni, è intercettato mentre parla al telefono con Corrado Passera, all’epoca ministro dello Sviluppo economico. L’argomento sono le presunte tangenti da 197 milioni di euro pagate in cambio di commesse al ministro algerino dell’energia Chekib Khelil e al suo entourage da parte di Saipem, la società di ingegneria petrolifera controllata del Cane a sei zampe. E il manager rivela al ministro, membro del governo Monti: “Io sono pure d’accordo che siano in qualche modo delle tangenti date alla politica algerina, non sappiamo bene a chi, ma a qualche algerino”. A riportare l’intercettazione è il Corriere della Sera, secondo cui fu il Passera, preoccupato per le ripercussioni sul gruppo energetico partecipato dal Tesoro, a chiamare Scaroni. Che proprio per questa vicenda è indagato dalla procura di Milano per corruzione internazionale insieme all’ex presidente e ad di Saipem Pietro Tali, all’ex direttore operativo Pietro Varone e ad altre cinque persone. Pochi giorni fa, quando i pm Fabio De Pasquale, Isidoro Palma e Giordano Baggio hanno concluso le indagini, è emerso che all’ex numero uno è contestato anche il reato di dichiarazione fraudolenta dei redditi mediante altri artifici.
“Il vero padrone della Saipem è sempre stato Tali”, sostiene Scaroni parlando con Passera. “Dall’inizio 2012 ho cominciato, guardando i numeri, ad accorgermi che qualcosa proprio non mi suonava molto”. Poi l’ex numero uno del gruppo rivendica di aver “storto il braccio a Tali” e averlo “convinto a prendere un nuovo direttore finanziario che veniva da Eni, per capirci un po’ più nei conti. Poi verso novembre ho iniziato ad avere i primi rapporti, che mi dicevano che le cose andavano meno bene di come ce la raccontavano. A quel punto, anche approfittando di questo incidente Algeria, praticamente ho forzato il cda Saipem a far dare le dimissioni a Tali e a metterci un nuovo amministratore, che guarda i conti e scopre il buco di ieri”. In effetti nel dicembre 2012 Tali, travolto dall’inchiesta, aveva dovuto lasciare.
Subito dopo Scaroni riferisce anche l’ammontare della “mediazione” riconosciuta a Farid Bedjaoi, uomo di fiducia del ministro Khelil e intermediario tra gli algerini e i manager Saipem: “Non so, il 2% o 3% per tutte le commesse in Algeria. Sulla scorta di questo contratto, gli han pagato 190 milioni di commissioni…”. “Ah, però!”, è la risposta del ministro. E qui arriva l’ammissione del suo interlocutore: “Eh… che la magistratura di Milano pensa, e io sono pure d’accordo, che siano in qualche modo delle tangenti date a… alla politica algerina”. Ma “noi come Eni siamo fuori da queste cose”. Eppure nei mesi successivi, ricorda il quotidiano di via Solferino, i pm hanno scoperto che proprio Tali organizzava incontri riservati tra Scaroni, il ministro algerino dell’Energia Khelil e Bedjaoui.