Esiste un hinterland fiorente attorno a Firenze, teatralmente e culturalmente parlando. Qualcuno dice anche troppo esorbitante numericamente per la cittadinanza sulla quale tutta questa offerta (che poi viene anche disattesa e delusa) insiste. In parole povere, anche se sembra sconveniente dirlo, ci sono troppi teatri, troppe compagnie, troppi spazi, troppi spettacoli che alla fine raccolgono meno di quanto avrebbero potuto perché il pubblico di riferimento è quello e la coperta è corta.
Attorno alla Firenze del Teatro della Pergola, del Teatro Verdi o del Teatro Puccini sono nati, sono sorti o hanno ripreso linfa e vigore tutta una serie di piccole e medie strutture che con i loro cartelloni vivacizzano quartieri. Partendo dal Teatro di Rifredi, passando per il Teatro Studio di Scandicci o il Teatro della Limonaia di Sesto Fiorentino, arrivando al Teatro Manzoni di Calenzano, allungandoci al Teatro Everest del Galluzzo, sconfinando al Teatro delle Arti di Lastra a Signa, toccando il Teatro dell’Antella, lambendo il Cantiere Florida, il Teatro Lumiere, sfociando al Teatro del Romito, fino al Teatro delle Spiagge. Una proposta sconfinata e sterminata. Certo meglio l’abbondanza che la penuria o la mancanza. Per non parlare del Teatro del Cestello, del Teatro Le Laudi o del Nexus Studio, Lo Scantinato e del Magma. E sicuramente ne avremo scordato qualcuno. Purtroppo una città media come Firenze non può sostenere tutta questa onda teatrale in termini di numeri. Molte volte il pubblico è formato da operatori, altre è di poca rilevanza. Forse il troppo non rende un buon servizio.
Alle Spiagge, ad esempio, una trentina di titoli affollano il programma: roba da Teatro Stabile. Un plauso alla direzione certo ma anche una riflessione se questo sia il miglior modo, una o due repliche per poi cambiare titolo, per portare nuovi spettatori, per farli affezionare non tanto al luogo in questione ma alla materia, al senso delle parole dette nello spettacolo dal vivo. Ci sono esempi in Italia di teatri, anche molto piccoli, che producono ed investono con lunghe teniture, impegnandosi più nelle produzioni che nelle ospitalità. Torniamo alle Spiagge, che non sono né quelle dei Righeira né tanto meno quelle di Renato Zero, teatro in un quartiere (ex) difficile tra palazzoni e cemento che adesso ha trovato la sua collocazione (anche grazie a Don Santoro, prete di marciapiede, come lo era Don Gallo) ed è uscito dalle cronache locali dove spesso finiva non per meriti. Nicola Zavagli e Beatrice Visibelli, insieme alla loro compagnia dell’Imbarco, puntano ad un teatro che sia il più aperto possibile, punto di riferimento per la comunità (bambini, anziani, adolescenti) intorno. Delle trenta proposte (continuiamo a sottolineare, troppe in cinque mesi) segnaliamo “Banane” (5, 6 dicembre) con Francesco Colella, sia Premio Ubu che Premio In box, “La famiglia Campione” de Gli Omini (il 13 dicembre) che dopo tante “Tappe”, indagini sul territorio e riproposizione teatrale dell’ascoltato e del visto in quel determinato paese, tornano ad un teatro di scrittura senza contropartite sociologiche né derive antropologiche.
A febbraio prima una drammaturgia di Paolo Rossi, “La coscienza di Zeno spiegata al popolo” (6, 7), prima del “Scherzo ma non troppo” (13) dove si riforma il connubio tra Virginio Liberti, drammaturgo italo-brasiliano ed il gruppo dei Gogmagog, Tommaso Taddei e Carlo Salvador. Ad aprile “Indignati” (10, 11) con parroci di frontiera come don Bigalli, don Masi e don Santoro sulle parole di Savonarola, Terzani e Saviano, per chiudere con “Ma il “Che” gioca nel Brasile?” di e con Anna Meacci che ci racconta la stravagante storia di Socrates, soprannominato “Il Dottore” perché realmente laureato in medicina, (ha giocato anche per un anno nella Fiorentina) e soci, innestandolo sulla propria autobiografia. Perché Italia-Brasile 3 a 2, come ci ha ricordato anche Davide Enia, forse solo dopo Italia-Germania 4 a 3, è la nostra partita, siamo noi italiani con i nostri sbalzi umorali, che ci perdiamo in un bicchiere d’acqua ma che altrettanto prodigiosamente scaliamo le vette più insormontabili.