L’anno scorso aveva tentato la carta dell’affidamento ai servizi sociali: la Cassazione, però, non aveva dato il via libera. E ora che al fine pena mancano tre anni esatti Totò Cuffaro, l’ex potentissimo governatore della Sicilia, riprova a uscire dal carcere dalla porta principale: la sua richiesta di grazia è stata recapitata nei giorni scorsi al Quirinale proprio mentre Giorgio Napolitano si preparava alle dimissioni. Condannato in via definitiva a 7 anni per favoreggiamento a Cosa Nostra e rivelazione di segreto, quattro anni trascorsi nella sua cella al piano terra del penitenziario romano di Rebibbia, Cuffaro si è stancato di rimanere recluso. E con una lettera, recapitata al Colle dai suoi legali, chiede la clemenza presidenziale, rivendicando la sua buona condotta in carcere certificata dalla fama di “detenuto modello” che gli è stata riconosciuta in più occasioni dai vertici del penitenziario romano.
Ma prima di ricevere la grazia, la posizione di Cuffaro deve passare al vaglio della procura generale di Palermo, il distretto giudiziario nel quale è stata promulgata la condanna diventata definitiva il 22 gennaio del 2011. Il Quirinale ha girato al pg Roberto Scarpinato la richiesta di grazia e ora il magistrato dovrà dare il suo parere sull’opportunità di aprire o meno le porte del carcere per rimettere Cuffaro in libertà. Ma l’ex governatore della Sicilia risulta tuttora coinvolto in un’indagine dalla Procura di Palermo per truffa aggravata e corruzione: è l’inchiesta sulla “finanza creativa” della Regione ai tempi in cui Totò “Vasa Vasa” era all’apice del suo potere. Al centro dell’indagine dei pm Sergio De Montis e Daniele Paci ci sono i rapporti stipulati nel 2003 tra Palazzo d’Orleans e la banca giapponese Nomura, finita al centro delle cronache per l’affare dei derivati che affossò il Montepaschi di Siena.
Qual è l’accusa che riguarda Cuffaro? Invece di chiedere un prestito alla Cassa Depositi, per sanare i crediti vantati dalle Aziende sanitarie siciliane, l’ex presidente siciliano preferì vendere a tassi elevatissimi il debito regionale ad una società che faceva capo alla sede londinese di Nomura, creando di fatto un danno di 175 milioni di euro per l’erario regionale. Agli atti della procura di Palermo ci sono ancora decine di intercettazioni top secret e rogatorie internazionali che seguono i flussi di denaro pubblico a caccia di eventuali tangenti pagate ai consulenti e allo stesso ex presidente che, interrogato in carcere, due anni fa ha declinato ogni responsabilità.
Ora l’inchiesta sulla presunta truffa a sei zeri potrebbe costare a Cuffaro il parere negativo del Pg di Palermo, obbligandolo a scontare anche i restanti tre anni di carcere, al netto di possibili sconti dovuti alla buona condotta. “È passato il mio tempo per la politica, ma non quello per il lavoro e per l’impegno di solidarietà nel sociale”, diceva Cuffaro pochi mesi fa, spiegando di vivere l’esperienza della detenzione con cristiana rassegnazione. Dopo essere stato radiato dall’ordine dei medici in seguito alla condanna, in questi quattro anni trascorsi a Rebibbia si è iscritto alla facoltà di Giurisprudenza e ha persino pubblicato due libri: “Il candore delle cornacchie” candidato nel 2013 al Premio Strega, e “Le carezze della nenia”, che in copertina presenta una sua foto in abito da detenuto con una catena tra le mani.
Già nell’ottobre del 2013 l’ex presidente aveva tentato di uscire dal carcere chiedendo di essere affidato ai servizi sociali: voleva andare a lavorare da Biagio Conte, il missionario laico che a Palermo gestisce la missione Speranza e Carità: “Voglio servire il pasto agli umili”, disse l’ex governatore per convincere i giudici, ma la Cassazione non autorizzò la scarcerazione. Il motivo? Non ha fatto i nomi di chi “gli forniva le informazioni utili per aiutare il boss Giuseppe Guttadauro a sottrarsi alle indagini”.
da Il Fatto Quotidiano del 17 gennaio 2015
di Giuseppe Pipitone e Sandra Rizza