“Perseo usava un manto di nebbia per inseguire i mostri. Noi ci tiriamo la cappa di nebbia giù sugli occhi e le orecchie, per poter negare l’esistenza dei mostri”, scriveva Karl Marx nel suo libro Il Capitale. E Marx ne sapeva di mostri, di spettri e di vampiri. L’uomo più temuto dalle polizie di mezza Europa – e, talvolta, perfino da loro segretamente amato, al punto da essere definito nei rapporti segreti “un pensatore che sogna, un sognatore che pensa” – ha speso una vita intera per scovare, smascherare e annientare i mostri. Non ci credete? Allora si vede che non avete ancora letto Il Capitale, altrimenti vi sareste accorti di come è tempestato di figure da romanzo fanta-horror, sapreste delle avventurose discese di Marx nei “laboratori segreti” della produzione, dei suoi sforzi titanici per squarciare il “velo di Maya”, dei suoi corpo a corpo con i mostri più terribili, annidati proprio in quei “laboratori segreti”, che si nutrono delle energie, della linfa vitale, del sangue dei lavoratori. Ma come ogni buon rivoluzionario, Marx aveva intimamente compreso che la cifra segreta del comunismo è l’avventura, e così, senza risparmiarsi, si buttava con passione – perché non è possibile impegnarsi nella trasformazione del mondo senza impegnare anche tutta la passione – con fantasia ma anche con rigore nella caccia ai mostri spaventosi.
È questo Marx che diventa il personaggio principale dell’originalissimo e geniale romanzo di Luca Cangianti, dal titolo Sangue e plusvalore, pubblicato da pochi giorni dalla casa editrice Imprimatur. Una trama fanta-horror, appunto, che si svolge tra la Londra vittoriana e la Parigi comunarda, in cui si intrecciano, con quella di Karl Marx, le vite di molti personaggi, tra cui: Daniel, il giovane studente in cerca di una spiegazione per il suicidio del padre e in seguito divenuto il segretario del filosofo rivoluzionario, coinvolto assieme a lui nelle avventure e nella lotta contro i misteriosi mostri; Lucy, la giovane femminista, appassionata ed emancipata, che paga caramente alcune sue affrettate scelte; Costantin, ovvero il Master, proprietario dello stabilimento di Holland Street, dove accadono fatti strani e (apparentemente) inspiegabili. Personaggi inventati e personaggi veri che si incontrano e si scontrano in luoghi veri e in luoghi inventati, dinamiche che si realizzano in contesti storici reali e contesti privati talvolta fittizi. Articoli di giornali veri accanto a lettere semi-vere e a dialoghi verosimili.
È una storia avvincente di fughe, travestimenti, incidenti, passioni amorose, tenerezze, lotte, misteri, tra cui alcuni vengono svelati e altri restano tali fino alla fine. Non c’è in questo libro introiezione del disincanto, dell’apocalisse rassicurante e familiarizzata, come talvolta si è registrato di recente in questo genere di romanzo, dove spesso il limite dell’immaginario e del linguaggio è dato nel dare e l’avere dell’invivibilità, nell’aggiornamento della cronaca insomma. Lo sguardo intelligente dell’autore, infatti, evidenzia in questo libro quello ottuso di altri che da un pezzo hanno rinunciato ad osservare e ad immaginare le cose per affidarsi alla corrente magra della ripetizione del sempre uguale.
Luca Cangianti – che voci di corridoio dicono essere uno pseudonimo, quindi potrebbe essere uomo oppure donna, o addirittura essere più d’uno, ma in ogni caso, come accaduto di recente alla collega Elsa Ferrante, gli auguro di diventare al più presto un “leading global thinker” – ha scritto una storia bella, per quanto horror, e, si sa, ogni storia bella è dialetticamente una storia vera, perché carica delle suggestioni che verranno. Forse, un limite del romanzo c’è e questo si può rintracciare in una certa “ansia” nel voler “spiegare” troppo. Non ce n’era bisogno. Non pensando, questo romanzo già pensa l’impensabile.
E’ da leggere, e chi non lo compra i mostri lo seguano come un’ombra!
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