C’è stato un periodo in Italia in cui i sequestri di persona erano frequenti e per disincentivarli si arrivò a bloccare i patrimoni dei familiari, alcuni dei quali non rividero più in vita -e neanche da morto- lo sfortunato congiunto. Di certo, sarà stato per questa misura oppure no, i sequestri di persona appartengono ormai al passato delle attività criminali in Italia.
Tuttora molto in auge è invece il racket delle estorsioni per le quali è prevista la responsabilità penale di chi paga il “pizzo” e non denuncia gli estorsori, pur esponendosi a possibili ritorsioni.
Ma se i sequestratori sono all’estero l’atteggiamento dello Stato cambia radicalmente: paga sempre Pantalone, pur inimicandosi gli altri Stati che non trattano con i rapitori a partire dagli Usa, potenzialmente i più esposti in tanti luoghi a rischio in giro per il mondo. Tutti gli italiani sequestrati in Iraq, Afghanistan, Yemen, Mali sono stati liberati dietro pagamento di riscatti.
E’ stato il caso di Simona Pari e Simona Torretta (settembre del 2004), Giuliana Sgrena (febbraio del 2005), Clementina Cantoni (Afghanistan, maggio 2005), Rossella Urru (ottobre 2011) e Mariasandra Mariani (febbraio 2011).
In attesa di venire a sapere se, nonostante le smentite ufficiali, doverose perché si tratta di violazione di accordi internazionali, si sia pagato un riscatto anche nel caso delle due cooperanti, rimane la questione di fondo: come si giustifica questa doppia morale dello Stato? Come si fa ad essere così incoerentemente forti con i deboli in casa per rivelarsi poi deboli con i violenti fuori? Qual è quindi, nell’ottica di un rapitore e degli incentivi/disincentivi, la nazionalità da preferire? Sicuramente il Made in Italy: pagando, andrà letteralmente a ruba!
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