Confindustria Taranto e i sindacati hanno deciso insieme di interrompere le consegne e convocare una manifestazione di protesta a Piazza Montecitorio. Siderurgico fermo per mancanza di materie prime. Il commissario Gnudi chiederà la settimana prossima l'ammissione del gruppo all'amministrazione straordinaria
Industriali e sindacati di Taranto stavolta sono sulla stessa linea. Le aziende dell’indotto dell’Ilva, messe in ginocchio dai mancati pagamenti e preoccupate che l’avvio dell’amministrazione straordinaria faccia andare in fumo i loro crediti, sabato hanno deciso di fermare le forniture destinate al siderurgico, mettere in libertà il personale e convocare per lunedì prossimo a Piazza Montecitorio, a Roma, una manifestazione di protesta. Confindustria, Confersercenti, Casartigiani, Cna, Confartigianato, Confapi e le sigle Fim, Fiom e Uilm metteranno in campo azioni condivise “per garantire le aziende, con tutti gli strumenti a disposizione, circa la copertura degli ingenti crediti pregressi”, sottolineando che l’applicazione della legge Marzano modificata – quella prevista dal decreto varato dal governo il 24 dicembre – “di fatto prevede, se applicata pedissequamente, che i crediti vantati dalle aziende dell’indotto vengano inseriti nella procedura concorsuale, con la certezza di essere pressoché azzerati“.
La prima conseguenza dello stop è che circa 3mila lavoratori sono, per il momento, a casa. E per loro non è prevista alcuna trasferta a Roma per manifestare: il presidente di Confindustria Taranto, Vincenzo Cesareo, ha spiegato che “non saranno i dipendenti ma gli stessi imprenditori, così come accaduto nella manifestazione tarantina dell’1 agosto scorso, a prender parte alla delegazione che si recherà nella capitale per chiedere precise garanzie al governo”. Garanzie che dovrebbero riguardare l’intero ammontare dei debiti dell’Ilva verso i fornitori: circa 350 milioni di euro.
Ma gli effetti dell’interruzione delle forniture si sono fatti già sentire anche sull’Ilva, che è stata costretta a fermare per 48 ore gli altiforni e mettere circa 250 lavoratori in ferie o contratto di solidarietà “a causa di un ridotto approvvigionamento delle materie prime”. Per cercare di uscire da questo limbo il commissario Piero Gnudi si appresta, martedì, a fare richiesta di ammissione del gruppo alla procedura di amministrazione straordinaria. Ma la fisionomia della società a partecipazione pubblica che prenderà in affitto i suoi stabilimenti non è ancora definita nei dettagli. Il senatore Salvatore Tomaselli, relatore del decreto Ilva in commissione Industria, ha proposto la creazione di una newco partecipata al 100% dal Tesoro, scelta che però si scontrerebbe con lo scoglio del divieto di aiuti di Stato imposto dall’Unione Europea. E resta da sciogliere anche il nodo delle risorse: come è noto, la maggior parte degli 1,2 miliardi sequestrati alla famiglia Riva – azionista con il 90% – e che dovrebbero essere versati su un conto ad hoc a disposizione del nuovo commissario per attuare le prescrizioni dell’Aia sono in realtà bloccati in Svizzera. E secondo il procuratore aggiunto di Milano Francesco Greco il nuovo decreto rischia di bloccarne il rientro. Mentre il procuratore capo di Taranto, Francesco Sebastio, ha chiesto che sia chiarita meglio la norma sulla non punibilità del commissario dell’amministrazione straordinaria e quella in base alla quale per il commissario stesso e i suoi uomini sarà sufficiente realizzare l’80% delle prescrizioni dell’Aia.