Il governo britannico ha messo alla gogna 37 aziende che, per diversi motivi, non pagavano tanti dei propri dipendenti con lo stipendio minimo di Stato, pari, secondo la legge, a 6,50 sterline all’ora, circa 8,50 euro al cambio attuale. Una pratica, quella del “name and shame”, cioè dello smascherare pratiche non corrette e rivelare il nome dei loro autori, che va avanti nel Regno Unito già dal 2013, quando l’esecutivo svelò le malefatte di altre 55 aziende. In questo nuova azione moralizzatrice, il sottosegretario alle Imprese, Jo Swinson, ha affermato: “Pagare meno dello stipendio minimo di Stato è illegale, immorale e completamente inaccettabile. Se tanti datori di lavoro non rispettano questa legge, devono sapere che noi prenderemo delle dure contromisure, facendo il loro nome, screditandoli e multandoli. E, allo stesso tempo, aiutando gli impiegati a recuperare tutti quei soldi non pagati”.

Fra le 37 aziende citate dal governo, questa volta, anche H&M, gigante dell’abbigliamento, un’azienda che dalla Svezia ha conquistato centri commerciali e vie dello shopping di tutto il mondo. La compagnia si è difesa, dicendo che in questo caso il danno è stato dovuto a un problema tecnico e informatico, che ha causato un ammanco di circa 2.600 sterline a 540 dipendenti. Non tantissimo, quindi, ma l’azione del governo guidato dal conservatore David Cameron dimostra come, da parte delle istituzioni, la tolleranza per chi non rispetta le leggi sul lavoro sia pari a zero. In totale, tutte le 37 aziende colpevoli sono state obbligate a pagare multe per complessive 51mila sterline, circa 67mila euro, e a rimborsare gli impiegati per un totale di 177mila sterline, circa 232mila euro.

La paga minima di Stato, nel Regno Unito, è appunto di 6,50 sterline all’ora per tutti coloro che abbiano più di 21 anni di età, mentre è di 5,13 sterline (6,70 euro circa) nella fascia di età 18-20, di 3,79 sterline all’ora (circa 5 euro) per 16enni e 17enni e di 2,73 sterline all’ora (3,60 euro circa all’ora) per gli apprendisti giovani. Ogni anno queste tariffe vengono riviste al rialzo, con l’adeguamento all’inflazione secondo l’ufficio nazionale di statistica britannico (che tuttavia non corrisponde mai al reale aumento del costo della vita, lamentano le sigle sindacali): rimane così il problema di stipendi che, soprattutto a Londra e in altre zone molto costose del Regno Unito, non sono sufficienti se basati sul “minimum wage”. Lavorare a paga minima di Stato in Gran Bretagna significa prendere, in media, meno di 1.000 sterline al mese per un lavoro a tempo pieno, tolte le tasse e pagata la “national insurance”, la previdenza di Stato. Evidentemente molto, troppo poco quando si deve pagare un affitto, pagare la metropolitana nella capitale, mangiare: in una parola, vivere.

I sindacati confederali, rappresentati dal Tuc, il Trade Union Congress, anche per questo, chiedono l’adeguamento della paga minima di Stato, almeno a Londra, alla paga minima per la sopravvivenza sotto il Big Ben, chiamata “London living wage”, stimata da una apposita fondazione benefica e al momento pari a 9,15 sterline all’ora (circa 12 euro). Una paga applicata da molte aziende lungimiranti e anche il settore pubblico prevede un’integrazione al reddito per gli impiegati amministrativi che lavorano nella capitale. Ora, appunto, il problema di chi non applica nemmeno lo stipendio minimo di Stato e la pratica del “name and shame” dell’esecutivo. Ma sindacati e associazioni di volontariato che aiutano quei tanti poveri che sempre più affollano le mense pubbliche e le banche del cibo avvertono Cameron: il governo potrebbe fare molto di più.

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