La verità è un’altra, e dolce Debora lo sa bene: la vincitrice delle primarie liguri Raffaella Paita ha dimostrato palesemente che la connessione tra componenti di questo ceto politico e la “terra di mezzo”, la zona grigia dove gli incensurati vengono messi in contatto con i censurabili per contrattarne i favori, non è soltanto un noir in romanesco. Con protagonisti Carminati, Buzzi e Panzironi. La pièce viene replicata anche su altre piazze.
Difatti la belva che si è sbranata “il cinese” è “renziana” quanto potrebbe esserlo il sottoscritto. In realtà è “burlandiana”, ossia legata al sistema di potere costruito in decenni dal suo “appassionato” sponsor Claudio Burlando. Il quale Burlando, tra i soci della sua associazione-contenitore politico “Maestrale”, annovera pure Gino Mamone; di cui Ferruccio Sansa così scriveva nel suo libro “il Sottobosco” (Chiarelettere 2012): «nelle 1200 pagine depositate dagli investigatori per l’inchiesta Mensopoli si legge che il tenore delle conversazioni intercettate ha evidenziato collegamenti di Gino Mamone sia con il mondo politico sia con il mondo delle cosche calabresi». Un perfetto abitatore della “terra di mezzo”, in amichevole confidenza con la leadership regionale. Dato che spiega la ragione per cui in Liguria l’avanzare della “terra di mezzo” non è stata contrastato, mentre a Ponente venivano commissariati o sciolti consigli comunali per inquinamento da parte della malavita organizzata; fatto che induce a ritenere che se il personale dirigente di matrice burlandiana resterà in sella, non c’è speranza anche in futuro che venga arrestato lo scivolamento verso la zona grigia che sta nel mezzo.
Ma questo non interessa Renzi e compagni, ben contenti per la mazzata sul cranio canuto di Sergio Cofferati: meglio una Paita assetata di potere (sotto questo profilo, “renziana” honoris causa) che un rompiballe che tira fuori l’articolo 18. Anche se verrebbe da chiedere all’ex segretario CGIL, all’ex sindaco sceriffo bolognese, all’attuale fruitore di pensione d’oro a Strasburgo, come mai lo hanno così sorpreso i metodi paitiani. In fondo se l’è andata a cercare, visto che nella sua evidente autoreferenza mai si è preso la briga di approfondire le caratteristiche del territorio dove è venuto a svernare. Ma di cui pretenderebbe di essere rappresentante.
Comunque l’equivoco Cofferati si avvia a uscire di scena. Restano sul palcoscenico questi altri, cui l’avvento di Matteo Renzi ha fornito via libera. Una pochade che vira sul tragico, nel cui cast primeggiano le donne in carriera. Oltre a Serracchiani e Paita, spiccano persino due aspiranti alla presidenza della Repubblica di prossima elezione: Roberta Pinotti e Anna Finocchiaro. Dio ce ne scampi… Anche se gli altri nomi attualmente in pole position confermano lo stato ormai decomposto del partito di governo: il pallido democristiano di seconda fila Sergio Mattarella e l’icona del tardo craxismo Giuliano Amato; di cui si racconta che quando Cesare Romiti scendeva nella capitale per ungere la politica, la visita pastorale in via del Corso prevedeva il primo incontro con il leader Bettino, il terzo con il segretario amministrativo Balzamo, ma il secondo era riservato a quel Dottor Sottile non sempre leale (e a lungo tenuto sotto minaccia dai fax di memento che arrivavano da Hammamet).
Anche in questo caso non sembra che la selezione politica in atto ci garantisca un pur minimo contrasto all’espandersi in ogni direzione della “terra di mezzo”.