Secondo il costituzionalista, l'inserimento di soppiatto dell'art. 19 bis nella delega fiscale è una gravissima violazione delle regole democratiche: "Serve un dibattito in Parlamento"
La gelida manina era quella del premier. Lo ha detto lui, in favore di telecamere, dopo che si erano fatti altri nomi, da quello del ministro Pier Carlo Padoan a quello del vice Luigi Casero. Ma la paternità di quell’articolo della delega fiscale che stabiliva la depenalizzazione di evasione e frode fiscale al di sotto della soglia del 3 per cento dell’imponibile (facendo una “cortesia” a Berlusconi e alle grandi banche) è più che sospetta. Lo spiega Alessandro Pace, professore emerito di diritto costituzionale alla Sapienza, che vede nell’inserimento di soppiatto dell’art. 19 bis nel testo (approvato dal Consiglio dei ministri il 24 dicembre) non uno sbaglio, ma un reato. Precisamente un falso materiale in atto pubblico, anzi un tentativo di falso, perché la norma è stata ritirata dopo che il Fatto aveva denunciato la cosa durante le vacanze di Natale. Intanto si affaccia un’altra grana, un altro falso (in bilancio), contenuto nel ddl anticorruzione. Aumentano le pene, ma resta intatta la norma berlusconiana che svuota il reato e non punisce chi falsifica il bilancio in misura inferiore del 5 per cento dell’utile d’impresa, o nella misura dell’1 per cento del patrimonio netto.
Professore, perché l’inserimento di soppiatto dell’art. 19 bis nella delega fiscale costituisce un reato?
Perché il presidente Renzi, pur ricoprendo la massima carica politica del nostro ordinamento costituzionale, ha usato un sotterfugio per far sì che una sua volizione “individuale” assumesse le sembianze di una disposizione legislativa approvata con tutti i crismi dal Consiglio dei ministri, contro la verità dei fatti.
Nel 2011 Berlusconi aveva fatto la stessa cosa nel decreto legge sulla manovra finanziaria, con il famoso comma pro-Fininvest, introdotto all’insaputa del ministro del Tesoro.
Esatto. Mentre Renzi, all’insaputa dei suoi ministri, ha tentato di contrabbandare un aiutino a Berlusconi per garantirsene l’appoggio nell’elezione del presidente della Repubblica e nelle riforme, Berlusconi, nel 2011, tentò, all’insaputa di Giulio Tremonti e dei ministri leghisti, di infilare, in un decreto sulla manovra finanziaria, una norma a suo beneficio personale consistente nel ritardare di 5 o 6 anni il pagamento del debito della Fininvest alla Cir. Scrissi a tal proposito un articolo su Repubblica per denunciare la gravità del fatto ma non si mosse foglia…
Lei ha invocato una commissione d’inchiesta, dicendo che se non si farà luce, la responsabilità politica e giuridica ricadrà interamente su Renzi. Eppure sembra che nemmeno voglia riferire alle Camere.
Esatto, io suggerii l’istituzione di una commissione ministeriale d’inchiesta quando ancora Renzi si proclamava innocente. Ritenevo infatti doverosa l’individuazione della “manina” e che si ponesse fine all’indecoroso balletto dei possibili responsabili del fatto (il ministro Padoan, il viceministro Casero, la responsabile degli Affari legislativi Manzione ecc.). Quando apparve il mio commento, l’8 gennaio, ebbi la sorpresa di leggere in altri articoli che Renzi aveva tranquillamente ammesso di esser stato lui l’autore dell’art. 19 bis della delega fiscale. Lo ha poi ribadito la sera del giorno dopo nell’ intervista di Lilli Gruber a Otto e mezzo. Né Renzi né la Gruber accennarono alla manina, con il che, agli occhi dei telespettatori, sembrò che tutto fosse rientrato nella normalità. Il che non è affatto vero: si tratta di una gravissima violazione delle nostre istituzioni democratiche secondo le quali la formazione delle decisioni legislative dovrebbe avvenire nel dibattito e nella trasparenza. Infatti se il presidente Renzi ha usato un tale sotterfugio, ciò lo si può spiegare o perché voleva che l’aiutino a Berlusconi venisse conosciuto il più tardi possibile oppure perché considera i suoi ministri e le sue ministre succubi alle sue decisioni, e quindi fargliele formalmente approvare o meno, il risultato sarebbe lo stesso. Il che non è meno grave e solleva ulteriori perplessità sulle finalità delle riforme costituzionali che Renzi ha in mente.
Lei ha scritto che “negli Stati Uniti sarebbe stato addirittura chiesto l’impeachment del Presidente Obama”. Pensa che Renzi dovrebbe dimettersi?
Renzi è nato a Firenze mentre Obama è nato negli Stati Uniti, dove il retaggio del puritanesimo è ancora vivo. Non si dimentichi a tal riguardo che, per gli americani, la menzogna costituisce il più grave reato che un presidente della Repubblica possa compiere. Si pensi al caso Clinton-Lewinski . Le dimissioni di Renzi sono l’ultima cosa al mondo che augurerei all’Italia in questo momento. Riterrei invece necessario un dibattito dinanzi a una delle Camere, magari a seguito di una mozione di censura, non di sfiducia, perché porcherie del genere non abbiano più a ripetersi.
Il Parlamento è ormai totalmente svuotato della sua principale funzione, quella legislativa. Da tempo legiferano i governi, o per delega o con i decreti: una grave alterazione del principio di separazione dei poteri.
Purtroppo è così. Ma quel che è peggio è che se dovessero essere approvati sia l’Italicum che la riforma costituzionale, lo svuotamento della funzione legislativa del Parlamento, che ora è patologico, diverrebbe fisiologico.
da il Fatto Quotidiano del 17 gennaio 2015