Le sirene della polizia hanno continuato a suonare per tutta la notte, e l’allarme terrorismo è ancora molto alto, anche perché sembrerebbe che le armi usate dai jihadisti per il recente attacco nella capitale francese fossero arrivate dal Belgio. Inoltre, da una ricerca dell’International Centre for the Study of Radicalisation britannico, risulta che circa 300 persone di nazionalità belga siano partite per combattere in Siria, raggiungendo la più alta percentuale pro-capite in Europa. Senza contare la presenza di Sharia4Belgium: una nota organizzazione estremista islamica che si impegna per l’applicazione della Shari’a sul territorio belga, 46 membri della quale sarebbero al momento sotto processo con l’accusa di reati legati al terrorismo.
Dopo simili premesse è normale poter avere paura, anche nel compiere piccoli gesti quotidiani come prendere la metro. Ed è in questi momenti che diventa estremamente semplice schierarsi su posizioni irrazionali e istintive, dove la diffidenza e l’odio prendono facilmente il sopravvento. È sufficiente entrare su Facebook o Twitter in questi giorni per accorgersi di quanta intolleranza e rancore abbia partorito la tragedia di Parigi. I peggiori virgolettati di Oriana Fallaci capeggiano sui profili dei tanti convinti che “Non tutti gli islamici sono terroristi, ma tutti i terroristi sono islamici”, giusto per eliminare dalla memoria storica i separatisti baschi dell’ETA, la Real IRA irlandese o anche solo il terrorismo nero e rosso degli Anni di piombo italiani.
Da Ferrara a Salvini, anche giornalismo e politica continuano a dare il peggio di sé, fino a sconfinare nei deliri di nomi meno noti, come l’assessore alla Cultura del comune di Bonorva (provincia di Sassari), Giovanna Tedde, che ha augurato l’Olocausto ai musulmani.
Nel frattempo, in pochi si sono accorti della condanna degli attentati di Parigi da parte del movimento sciita libanese degli Hezbollah e del partito palestinese di Hamas. Nessun islamofobo ha citato il nome di Lassana Bathily, l’immigrato maliano di fede musulmana che ha salvato sei ostaggi durante l’attacco nel supermercato kosher di Parigi.
In pochissimi hanno preso in considerazione le cause e le origini di questi drammatici fatti, come se gli eventi storici non avessero una loro consequenzialità anche legata alle scelte politiche dei cosiddetti stati occidentali, come ha spiegato Karim Metref in un interessante articolo del settimanale Internazionale: “Io devo chiedere a questi signori di dissociarsi, definitivamente, non ad alternanza, da questa gente: amici in Afghanistan e poi nemici, amici in Algeria e poi nemici, amici in Libia e poi… non ancora nemici lì ma nemici nel vicino Mali, amici in Siria poi ora metà amici e metà nemici… Io non ho più pazienza per questi macabri giochini”.
Giochini impregnati della stessa ipocrisia dei tanti capi di stato che guidavano la manifestazione parigina a favore della libertà di espressione. Come il primo ministro turco Ahmet Davutoglu, nel cui paese sono stati recentemente arrestati tre giornalisti per essersi opposti alla politica di Erdogan. O come il ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov, per rappresentare un paese dove i cronisti vengono continuamente incarcerati se non addirittura uccisi, come la storia di Anna Politkovskaja ci ricorda.
E mentre l’ondata di islamofobia ha fatto registrare almeno una cinquantina di episodi violenti contro edifici o membri della comunità musulmana solo in Francia, il mio sguardo si rivolge a quella stragrande maggioranza di persone che professano questa fede ma non hanno niente a che vedere col terrorismo e la violenza dei giorni passati. Quelli che oltre alla paura di diventare vittime di un attentato (come è successo al poliziotto musulmano Ahmed Merabet, ucciso fuori dalla sede di Charlie Hebdo), devono anche temere l’ostilità e il sospetto con cui una grande fetta di società non smetterà più di trattarli.