Il 12 gennaio uno dei più noti difensori dei diritti umani e avvocati sauditi, Waleed Abu al-Khair, si è visto inasprire in appello la condanna inflittagli in primo grado il 6 luglio 2014.
Sei mesi fa, la Corte penale speciale, un tribunale incaricato di affrontare i casi di terrorismo controllato dal ministero dell’Interno e che agisce sulla base di procedure non pubbliche, lo aveva giudicato colpevole di “disobbedienza al regno e tentativo di disconoscerne la legittimità”, “offesa al potere giudiziario e messa in discussione dell’integrità dei giudici”, “costituzione di un’organizzazione priva di autorizzazione”, “minaccia alla reputazione dello stato attraverso comunicazioni a organismi internazionali” e “preparazione, detenzione e diffusione di informazioni atte a minacciare l’ordine pubblico”.
Era stato condannato a 15 anni di carcere, di cui cinque sospesi, a non poter lasciare il paese per 15 anni e a pagare una multa di 200.000 rial sauditi (circa 45.000 euro).
Una settimana fa, a causa del mancato “pentimento” per i “reati” commessi, la stessa Corte penale speciale ha annullato la sospensione elevando dunque a 15 anni la condanna effettiva.
Quali sono i “reati” di Waleed Abu al-Khair?
Aver fondato, nel 2008, un’organizzazione indipendente denominata Osservatori dei diritti umani in Arabia Saudita; aver criticato, nel 2011, l’arresto di 16 riformisti; non aver riconosciuto la legittimità della Corte penale speciale; aver difeso in tribunale numerose vittime di tortura e di altre violazioni dei diritti umani.
Da ultimo, aver avuto tra i suoi clienti Raif Badawi, il blogger dissidente condannato nel settembre 2014 a 10 anni di carcere e a 1000 frustate per aver “offeso l’Islam”. Dopo la prima sessione di 50 frustate venerdì 9, l’esecuzione della pena corporale è stata provvisoriamente sospesa perché le ferite non si erano cicatrizzate. Ora sul caso si pronuncerà la Corte suprema.
Waleed Abu al-Khair si trova nella prigione Briman, a Gedda. Nelle settimane successive al suo arresto, nell’aprile 2014, è stato posto in isolamento nella prigione al-Ha’ir nella capitale Riad e sottoposto a tortura.