Politica

Cofferati, perché non abbiamo bisogno di uno Tsipras italiano

L’uscita di Sergio Cofferati dal Partito Democratico è stata una scelta che ha restituito all’opinione pubblica, finalmente, un po’ di verità. Una decisione coraggiosa e insieme necessaria che ha smascherato l’idea di un Pd rinnovato e finalmente libero dai cascami del passato, mentre la realtà dietro le apparenze del suo leader mediatico è un’altra: un partito che ancora preferisce gli accordi e gli inciuci ai valori, un partito che ha tristemente accettato l’idea di larghe intese, che i suoi elettori hanno sempre rifiutato, un partito dal volto ambiguo, trasformista, che ha perso ogni identità politica chiara e forte.

Eppure quando ho sentito Nichi Vendola chiedere a Cofferati di entrare a far parte di un “nuovo soggetto politico”, o quando sento invocare l’ex leader della Cgil come il nuovo Tsipras, provo un brivido di inquietudine. E non perché non ritenga Cofferati un uomo serio e insieme carismatico, né perché non condivida le sue analisi sociali e politiche, che quasi sempre mi trovano d’accordo.

Il punto è un altro: non è più tempo di nuove aggregazioni a sinistra del Pd, non è più tempo di nuove sinistre arcobaleno, di partitini destinati a restare eternamente minoritari. Finito l’Ulivo, crollato il bipartitismo e insieme con lui il sogno di un sistema finalmente e fisiologicamente maggioritario, ci ritroviamo in uno scenario politico segnato da un angosciante divisione in tre aree ideologiche incomunicabili, rischiosa per la tenuta del sistema politico e soprattutto per il futuro di governi realmente riformisti e progressisti. Ma è con questo scenario che dobbiamo fare i conti.

I sondaggi recenti che danno in calo il Pd e in aumento la Lega ci segnalano un dato da incubo: e cioè che se la Lega e la destra, Forza Italia, Fratelli d’Italia e Ncd tornassero insieme, potrebbero vincere sul centrosinistra. Una prospettiva che appare poco plausibile oggi che la destra è divisa e in crisi, ma che domani potrebbe rapidamente cambiare.

Resta invece il problema di un elettorato spaccato in tre, tra destre, Partito democratico e Movimento Cinque Stelle, nel quale è confluita la protesta di tanti elettori di sinistra del Pd che oggi si trovano nuovamente disorientati e confusi. Non è accaduto, per colpa del Pd insieme del Movimento Cinque Stelle, quello che in tanti speravano: una possibile convergenza tra democratici e grillini in vista di un’Italia migliore. Così oggi chi credeva in un’alleanza tra chi l’Italia la vuole cambiare davvero, e chi invece vuole conservare lo status quo, si trova diviso tra la disillusione di un movimento radicale che non è stato capace di dare le risposte politiche che ci si aspettava e l’eterno sogno di una sinistra pura, che troppe volte ha mostrato solo l’amaro volto della sconfitta.

Nel suo nuovo libro Houellebecq immagina per la Francia un fantomatico accordo tra i socialisti e i Fratelli musulmani, il partito islamico moderato, per contrastare l’ascesa del Front National di Marine Le Pen. Qui in Italia non siamo neanche capaci di immaginare un accordo tra Movimento Cinque Stelle e Pd in vista dell’elezione i un capo dello Stato che incarni davvero l’idea di un vero rinnovamento, portatrice di un po’ speranza. Così il nostro prossimo futuro questo ci prospetta: o una rimonta della destra o, nel migliore dei casi, l’eterno perpetuarsi delle larghe intese e l’arroccamento dei moderati tesi soprattutto a conservare il proprio potere – con piccole concessioni riformiste – e a difendersi dalle forze radicali, indipendentemente dai valori che esprimono e dai progetti politici che portano con sé. Ha fatto bene Cofferati a dare un segnale forte, aprendo un dibattito interno a un partito dove la convergenza sul renzismo, ma soprattutto l’indifferenza rispetto al cambiamento reale, ha raggiunto livelli inquietanti. Ma no, non abbiamo bisogno di un soggetto a sinistra del Pd. Semmai, avremmo bisogno di un altro Pd.