Antonella Sinopoli si è trasferita in Africa nel 2010. Ad Aflasco, sull'oceano, ha aperto una struttura per vivere a stretto contatto con i suoi abitanti. "Qui il principale problema per un bianco è essere bianco"
“Non sono un cervello in fuga, fuga vuol dire scappare da qualcosa. Io non sono scappata, ho solo dato un’opportunità in più alla mia vita”. Comincia così il racconto di Antonella Sinopoli, giornalista professionista, che intorno ai quarant’anni ha deciso di lasciare l’Italia e intraprendere un nuovo percorso in Africa: “Dopo essere stata in Sudafrica, Uganda, Rwanda e Kenya, nel 2010 sono arrivata in Ghana per girare un video su un progetto di microcredito alle donne nei villaggi Ashanti e qui sono rimasta”, spiega.
Milanese di nascita e napoletana d’adozione, Antonella ha cominciato la sua carriera da cronista nel capoluogo campano: “Per anni sono stata redattore all’Adnkronos – racconta – e ho sempre cercato di coltivare un approccio critico al giornalismo”. Qualità poco apprezzata nel nostro Paese: “Al giornalismo italiano piace cibarsi di gossip, soprattutto politico. Per chi vuole parlare d’altro non c’è molto spazio. Io, invece, sentivo il bisogno di approfondire temi che mi stanno a cuore”, dice.
Per questo ha lasciato un lavoro sicuro per dedicarsi a un master in diritti umani. Un tema che la tocca da vicino, tanto da portarla a fondare Voci Globali, un sito di informazione che si occupa di queste tematiche.
La svolta decisiva arriva con il trasferimento in Africa: “Da quando sono in Ghana ho sempre vissuto nei villaggi, condividendo la vita della gente del posto. D’altronde quando si fa una scelta così radicale bisogna metterci un po’ di follia”, ammette. Gli inizi non sono stati facili: “In Ghana il problema maggiore per un bianco è essere bianco – ammette -. Europeo qui è soltanto sinonimo di ricchezza e possibilità”.
Ma Antonella ha sempre preferito tenersi lontana da questa immagine: “La mia è una condizione abbastanza estrema, ho più esperienza della vita dei poveri che dei ricchi. All’inizio sono anche finita sui notiziari locali perché si era sparsa la voce che una donna bianca stava acquistando la loro terra e avrebbe mandato via tutti”. Per questo motivo anche dar vita a un’attività non è stato semplice: “All’inizio facevo il pane e lo vendevo, ma la gente qui è troppo povera per permetterselo”, racconta.
Poi l’idea: fonda il Wild Camp Ghana A&Y, una struttura che offre ai visitatori un’esperienza a stretto contatto con la vita di Aflasco, villaggio di pescatori nella regione del Volta: “Il mio obiettivo era dare anche ad altri l’opportunità di conoscere da vicino come si vive in un villaggio come questo – racconta -, e in più è un posto bellissimo per una vacanza: si sono l’oceano, la laguna e la tradizione Ewe da scoprire”. Un’opportunità per far conoscere questa realtà anche fuori dai confini ghanesi: “Da sempre la povertà mi sta particolarmente a cuore, forse perché quando sei povero non puoi veder riconosciuto nessuno dei diritti fondamentali, figuriamoci quelli civili e politici. Come cantava Bob Marley, a hungry man is an angry man. Quando hai fame nella tua testa non c’è nient’altro”.
Per questo Antonella ha deciso di portare il suo impegno anche in Italia: “Quando torno nel nostro Paese tengo corsi nelle scuole sulla percezione della povertà, sui diritti umani e sul giornalismo partecipativo – racconta-. I giovani sono più informati di quello che si pensa su questi argomenti”. La scrittura e il giornalismo restano parte integrante della sua vita; oltre a curare un blog personale, Antonella continua a collaborare con alcune testate che si occupano di Africa, impegno che si aggiunge a quello di presidente di Ashanti Development Italia, associazione di volontariato di cui ha cofondato la sede italiana.
Lei continua a portare avanti l’attività di sostegno dal suo villaggio, dove c’è ancora molto da fare: “Da tempo operiamo nell’area Ashanti, ma ora abbiamo iniziato un piccolo progetto per i bambini ad Aflasco – spiega -. Diamo lezioni basilari di inglese e facciamo con loro giochi di socializzazione. Proviamo a regalargli qualche ora di serenità”. Per il momento il suo futuro sembra legato a questo Paese: “Mi piacerebbe realizzare alcuni documentari sulla realtà sociale del Ghana e occuparmi di alcune forme di schiavitù esistenti qui, come quella delle giovani che vivono in strada con i loro figli e si guadagnano cibo trasportando pesi sulla testa da un mercato all’altro”. Il Ghana è un paese difficile, ma da cui si può imparare molto: “Al di là delle storture, questo è un posto molto accogliente dove pian piano capisci che non si può dare nulla per scontato”.