Da enfant prodige della panchina a vittima degli errori societari, da complice della crisi ad artefice del non-gioco rossonero. La considerazione di Filippo Inzaghi va peggiorando di settimana in settimana. Una degradazione piuttosto rapida, se si pensa che appena prima di Natale i rossoneri concludevano il 2014 con un buon pareggio fuori casa contro la Roma. E nell’amichevole di lusso di fine anno battevano 4-2 il Real Madrid, facendo suonare a fanfara giornali e opinionisti. Si parlava apertamente di terzo posto, ma l’inizio di 2015 è stato un vero e proprio incubo.
Appena un punto in tre partite, per giunta abbordabili. E l’aggravante di prestazioni al limite dell’imbarazzo: la sconfitta casalinga contro l’Atalanta è la logica conseguenza di quanto già visto a Torino una settimana fa. Ovvero probabilmente il peggior Milan degli Anni Duemila, se non sul piano dei risultati sicuramente su quello del gioco e delle ambizioni. A memoria recente, davvero non si ricorda una formazione rossonera così rinunciataria, sterile in attacco, priva di idee che non siano quella di un’arroccata difesa unita al contropiede. Fa più male questo ai tifosi, forse, del modesto ottavo posto in classifica. Ed è qui che Inzaghi sale sul banco degli imputati. Perché il Milan certo non è una corazzata: ha dei limiti evidenti (in primis l’assenza di un terzino sinistro credibile e di un uomo di qualità a centrocampo, senza dimenticare la scarsa affidabilità dei centrali di difesa), che rendono quantomeno complicato l’obiettivo terzo posto. Ma con una guida illuminata è possibile giocare bene a calcio anche senza fenomeni, come dimostra ad esempio l’Empoli di Sarri ogni domenica.
Il Milan, invece, a calcio a volte sembra proprio non giocare. Gli undici in rossonero non sanno cosa fare con la palla tra i piedi, semplicemente non sanno attaccare. Ciò che un tempo era la griffe del Milan di Berlusconi nel mondo. Inzaghi è sempre stato un po’ il “cocco” del presidente: è arrivato sulla panchina sponsorizzato come l’allenatore del presente e del futuro, dopo la burrascosa parentesi di Clarence Seedorf, che in pochi mesi era riuscito ad inimicarsi spogliatoio e dirigenza. Eppure il confronto fra i due è impietoso: 35 punti per Seedorf, solo 26 per Inzaghi in 19 partite giocate. Soprattutto, l’olandese aveva una personalità, tattica e mediatica, molto più confacente al blasone del Diavolo. Mentre “Super Pippo” anche ieri nel post partita non è riuscito ad andare oltre una vaga ammissione di colpe. L’unico scatto di rabbia, nel corso dei novanta minuti, gli è costata la prima espulsione in carriera da allenatore.
Ad Inzaghi Berlusconi ha sempre perdonato tutto. Lui, che faceva tuoni e fulmini se la squadra non schierava almeno due attaccanti, ha digerito in silenzio un Milan che ha giocato senza punte per sei mesi, come la più umile delle provinciali. Andava bene all’inizio, quando era necessario ricostruire le fondamenta della squadra. Alla lunga, però, un tecnico è chiamato a dare qualcosa in più alla sua squadra. Dopo due sole vittorie in dodici partite qualsiasi altro allenatore sarebbe stato gentilmente esonerato dal suo incarico. Inzaghi invece è ancora al suo posto. Ma adesso anche la sua panchina comincia a scricchiolare. In settimana Milanello ha ricevuto la visita a sorpresa di Arrigo Sacchi: forse qualcosa in più di una cordialità. Si parla di un ritorno in pista del “grande vecchio” rossonero. Ancora da capire con che ruolo, se come supervisore delle giovanili o consigliere speciale. Di certo, Sacchi sarebbe una presenza molto ingombrante per Inzaghi. Che si è subito affrettato a dichiarare: “Arrigo è un guru, ma io decido di testa mia”. Sarà. Ma sarebbe davvero difficile per lui (come per chiunque nella sua posizione) non ascoltare qualsiasi cosa dovesse dire Sacchi. L’ingaggio del tecnico di Fusignano suonerebbe tanto come un commissariamento. Il primo passo verso la sfiducia, che solo un’inversione di tendenza in campionato potrebbe evitare. Ma intanto la crisi rossonera avanza. A San Siro risuonano di nuovo i fischi. E da oggi sono anche per l’allenatore.