Ma come fanno i deputati, come fanno i senatori, a restare lì dentro a far finta di lavorare, mentre un caos di fili annodati l’uno nell’altro, che sarebbero le riforme da fare subito, si accatasta qui dentro come in una fabbrica assediata? Non so chi ha avuto questa vertigine. Ma qualcuno ha deciso, in un momento di estrema confusione, in cui manca il capo dello Stato, di fare finta di niente e come direbbero ufficiali severi e patriottici sotto un bombardamento, l’importante è che nessuno lasci il suo posto. Sapete a che cosa si lavora? Alla Camera per completare l’abolizione del Senato. Al Senato per avere la legge elettorale per eleggere la Camera (unica parte del Parlamento che sopravvive).
Come ricorderete, il Paese continua a non avere una legge elettorale da quando la Corte Costituzionale ha dichiarato inaccettabile quella a liste blindate che il governo di Berlusconi, all’improvviso e senza ragione, aveva fatto calare sull’Italia coloniale che governava con la rigorosa fedeltà dei media e con la complicità di un’opposizione silente o assente. Ma il Senato non può fare la legge elettorale finché non sa se e fino a quando il Senato continuerà a esistere. E la Camera non può continuare a votare finché non c’è un presidente della Repubblica che possa firmare la legge.
È in corso, vi sarete accorti, una gara furiosa e appassionata di una sola persona con se stessa. Si tratta del presidente del Consiglio Renzi che voleva un cronoprogramma, senza badare al contenuto delle materie che via via avrebbero dovuto passare sulla sua catena di montaggio. Nel frattempo vuole essere l’arbitro assoluto (insieme a Berlusconi, strettamente legato da un patto che non conosciamo) della selezione, poi della scelta, poi della strategia, poi della votazione, magari con un tuono di ovazioni, per il presidente che non c’è. Nel frattempo, naturalmente, ciascuno dei mille deputati, senatori e votanti aggiunti in rappresentanza – come si usa dire – del potere locale, stanno facendo, quasi ognuno, la stessa cosa: si candidano o partecipano a gruppi, alcuni da dopo lavoro, altri accanitamente militanti, per l’elezione di qualcuno.
Nel frattempo le reti televisive fanno lotterie e distribuiscono ai partecipanti dei loro talk show biglietti per votare i nomi preferiti. I giornali pubblicano, uno dopo l’altro, vite e curricula, ipotesi e sceneggiature di possibili esisti. Poiché c’è spazio e tempo, di alcuni presidenti inventati ci si trattiene a dire che cosa farà in Europa, come affronterà le fabbriche chiuse, e persino in che rapporti è o sarebbe con Obama e la Bce. Ma il presidente non c’è, e i deputati e senatori che lo devono eleggere, lavorano o fanno finta di lavorare ad altro. Fanno finta perché niente può andare avanti. Bisognerebbe almeno tenere conto delle due ipotesi fondamentali: eleggere un presidente che sia un nulla e che non conti nulla. È il sogno di Renzi ma non è detto che tutti i sogni si avverino, persino per lui. Oppure, per qualche errore che può sempre succedere, il presidente è qualcuno, che vuol sapere che cosa si sta votando e perché, e in quale ordine e con quale urgenza, anche solo come cortese informazione.
C’è qualcosa di folle nel concepire l’idea che voi lavorate a riforme costituzionali e a una legge chiave come quella elettorale, da cui dipende la qualità della vita democratica del Paese, e io intanto penso, per conto mio, a giudizio mio e del mio socio (e non disturbatemi) a trovare la persona adatta per le cerimonie. Ma c’è un altro fatto che è impossibile non considerare. Statisticamente, è più probabile che sia un deputato o un senatore, a essere eletto presidente della Repubblica piuttosto che qualcuna o qualcuno esterno alla vita politica. È naturale che tutti si sentano parte, alcuni apertamente in corsa. Tutti, comunque, hanno una ragione per volere il tempo di partecipare alla più importante discussione politica italiana ogni sette anni (in questo caso, nove, ma proprio a causa di una cattiva legge elettorale che non produce maggioranze e che adesso bisognerebbe ritoccare in fretta e furia prima del voto presidenziale).
In altre parole il progetto sembra essere di far trovare il grosso del lavoro già fatto alla brava persona che sarà mandata al Quirinale, con lo svelto voto di una mezza giornata, in modo che debba dedicarsi alle sue cerimonie senza pensieri sproporzionatamente pesanti e senza mettere becco in questioni già decise. Mi rendo conto che sto dicendo le stesse cose che ha detto in aula il capogruppo di Forza Italia Brunetta. Evidentemente il travolgente impulso di Renzi di fare in fretta, non importa se male, non importa che cosa, sta accostando allarme e proteste di chi vede, anche da punti di vista immensamente diversi, lo stesso innegabile pericolo. Come se non bastasse grava (a scapito persino di Brunetta) il patto del Nazareno, che è saldo, segreto e inviolabile.
E certamente ha nella elezione del capo dello Stato, il suo punto più importante. Non c’è bisogno di immaginare che sia una associazione per scopi indicibili. Ma è segreta, “tiene” (ci assicurano ogni volta o la Boschi o Verdini) e ci annuncia che le decisioni sono già prese. Sarebbe un caos, se il patto dovesse fallire. Sarebbe un caos se la pallina (secondo decisioni che non conosciamo con persone che, purtroppo, conosciamo) andasse in buca. Qualcuno vede il lieto fine?
il Fatto Quotidiano, 18 gennaio 2015