Confermata la condanna a 20 anni di carcere per Adam Kabobo. Al 33enne ghanese, che l’11 maggio 2013 uccise a picconate tre passanti nel quartiere di Niguarda, nord di Milano, la Corte d’Assise d’Appello del capoluogo lombardo ha riconosciuto il vizio parziale di mente e tre anni di casa di cura e custodia a pena espiata come misura di sicurezza. Accolta, dunque, la richiesta del sostituto pg Carmen Manfredda.
Kabobo era stato condannato in primo grado lo scorso 15 aprile con rito abbreviato. In realtà i giudici (presidente Anna Conforti, a latere Fabio Tucci) sono partiti, rispetto al primo grado, da un differente calcolo delle pene per i reati contestati (32 anni in totale invece di 35), ma con lo sconto del rito abbreviato e con il fatto che la pena base non poteva superare i 30 anni, il verdetto definitivo è stato di 20 anni di reclusione. La difesa di Kabobo, che era presente in aula, aveva chiesto come in primo grado l’assoluzione per incapacità totale di intendere e di volere.
I giudici hanno inoltre riconosciuto i risarcimenti e le provvisionali concesse in primo grado alle parti civili, ossia ai familiari di Ermanno Masini, Daniele Carella e Alessandro Carolè, le tre vittime. Tra l’altro, per Kabobo, il prossimo 10 febbraio riprenderà l’udienza preliminare con l’accusa di duplice tentato omicidio in relazione ad altre due aggressioni avvenute sempre quella mattina dell’11 maggio 2013.
“Speravo in qualcosa di più, però questo è il massimo che si poteva ottenere e quindi accetto la decisione”. Così Andrea Masini, figlio di Ermanno, una delle tre vittime di Adam Kabobo, ha commentato la sentenza d’appello. I genitori di Daniele Carella, altra vittima, che aveva 21 anni, hanno detto solo poche parole ai cronisti, spiegando di essersi “affidati ai nostri avvocati”. Uno dei loro legali, l’avvocato Jean Paule Castagno, ha parlato di una “sentenza giusta, al di là dei pellerossa”, facendo riferimento a un paragone utilizzato in aula oggi dai difensori di Kabobo.
“Leggeremo le motivazioni della sentenza e vedremo se ci sono gli spazi per il ricorso in Cassazione”. Così gli avvocati Benedetto Ciccarone e Francesca Colasuonno, legali del 33enne, hanno commentato la sentenza. La difesa ha chiarito che, in ogni caso, i giudici hanno accolto uno dei motivi del loro ricorso, perché hanno rideterminato la pena complessiva che era di 35 anni in primo grado portandola a 32 anni. Con l’effetto del rito abbreviato, la pena finale comunque è stata di 20 anni. I difensori inoltre hanno voluto spiegare che quando in aula hanno fatto un paragone tra l’azione di Kabobo di prendere i cellulari alle vittime e i gesti di vittoria dei pellerossa “non abbiamo voluto mancare di rispetto, era soltanto un esempio per illustrare le nostre tesi”.