I due compagni di viaggio erano detenuti nel Paese da febbraio 2010 con l'accusa di aver ucciso il loro amico, Francesco Montis. "Lascio a voi immaginare come possiamo sentirci, dopo cinque anni di strazio. E’ come rinascere", hanno commentato i genitori della donna
“Che cos’è uno scherzo?”. Nemmeno Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni, i due italiani incarcerati in India da quasi 5 anni per scontare una condanna all’ergastolo con l’accusa di aver ucciso il compagno di viaggio, Francesco Montis, hanno creduto in un primo momento alle parole del direttore della prigione di Varanasi, nella quale erano rinchiusi da febbraio 2010. Quasi cinque anni passati nelle carceri indiane, in celle che contenevano fino a 140 persone e infestate dai topi, senza la possibilità di accedere all’acqua potabile e tenere alcun contatto con l’esterno, se non attraverso scambi epistolari.
Oggi, la Corte suprema dell’Uttar Pradesh, presieduta da Anil R. Dave, ha annullato la condanna, ordinando l’immediata liberazione dei due ragazzi italiani. “Quando li ho convocati nel mio ufficio per dire loro che sarebbero stati scarcerati – ha detto il direttore del carcere, Ashish Tiwari – pensavano scherzassi. Poi, sono stati sopraffatti dalla gioia”. “Grande soddisfazione per il risultato ottenuto” è stato il primo commento dell’ambasciatore italiano, Daniele Mancini, presente in aula al momento della decisione.
Iniziate le procedure per il rimpatrio
L’ambasciata italiana ha subito avviato le procedure per disporre l’immediato rilascio e portare a termine il rimpatrio dei due amici (che potrebbe avvenire già nel prossimo fine settimana). La mamma di Bruno, Marina Maurizio, informata dell’esito positivo del ricorso contro la sentenza di colpevolezza in appello, ha subito incaricato gli avvocati della famiglia di dare il via alle procedure per il rilascio, per il quale potrebbero essere necessarie 24 ore. Una “grande gioia ed il riconoscimento che alla fine il sistema giudiziario indiano ha dimostrato di funzionare”, ha dichiarato la madre di Bruno che poi ha continuato: “È una bellissima notizia tenendo anche conto del fatto che, conoscendo l’India, uno non può mai farsi illusioni”.
Le scarse speranze che la famiglia riponeva nel tribunale dell’Uttar Pradesh sono provate dal fatto che era già in programma, nei prossimi giorni, un viaggio nel Paese asiatico, ma l’ambasciatore li ha invitati ad attendere la sentenza perché c’era la possibilità di risvolti positivi. La procura dell’Uttar Pradesh potrebbe chiedere una revisione della decisione, ma fonti legali indiane si sentono di escludere questa possibilità.
Pinotti: “Grande soddisfazione per la sentenza”
Anche il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, gioisce per la decisione della Corte di rilasciare i due connazionali e lo fa con un tweet: “Soddisfazione per decisione Corte Suprema indiana di annullare condanna ergastolo Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni”, scrive l’esponente del governo. “Lascio a voi immaginare come possiamo sentirci, dopo cinque anni di strazio. È come rinascere”, hanno commentato, invece, i genitori di Boncompagni dopo essere stati informati dalla famiglia di Bruno della sentenza indiana.
“Ormai avevamo perso ogni speranza – dice il signor Romano, ex maresciallo in pensione – Anche perché non abbiamo grandi mezzi, e senza mezzi in India è difficile”. Una manifestazione di vicinanza verso le famiglie dei due compagni di viaggio è arrivata anche da Paola Moschetti Latorre, moglie di Massimiliano Latorre, uno dei due fucilieri di marina detenuti in India con l’accusa di aver ucciso due pescatori indiani e attualmente in Italia a seguito di un’operazione al cuore: “Ciao Marina – ha scritto la donna su Facebook – ho appena saputo, sono felice per te e per voi. Un abbraccio e goditi la gioia per cui hai tanto lottato”.
Romano Boncompagni: “La giustizia indiana è un mistero”. “Vorremmo dire a tanti che la pensano diversamente che l’India non è quel paradiso che si crede. Spero che la nostra vicenda sia utile ad altri”, ha detto il padre di Elisabetta Boncompagni poco dopo la notizia del rilascio dei due italiani incarcerati nel 2010. L’uomo ricorda le difficoltà incontrate in questi cinque anni ad entrare in contatto con la figlia e le spese sostenute: “Per noi, al di là dello strazio di vedere Elisabetta in carcere per accuse assurde – ha raccontato – è stato anche un grosso sacrificio. Basti dire che bisognava pagare per tutto, anche per andare a trovarla in carcere. Non voglio dire di più, ma questo sì: la giustizia indiana è un mistero“. Il padre della donna ricorda uno dei suoi viaggi in India, in occasione di udienze che, all’ultimo momento, sono state rimandate: “Erano state fissate le udienze – ricorda -, dunque ci siamo organizzati. Invece, una volta là, le udienze non sono state convocate. È stato tutto allucinante. Ma ora che la vicenda si è conclusa non voglio più pensare a quello che abbiamo passato”.
Il viaggio, la morte di Francesco e l’arresto. Tomaso Bruno, di Albenga, in provincia di Savona, Elisabetta Boncompagni, di Torino, e Francesco Montis di Terralba, in provincia di Oristano, erano partiti per l’India agli inizi del 2010 per festeggiare il Capodanno. Il 4 febbraio, dopo una serata a base di hashish ed eroina, Montis si è sentito male e i due compagni lo hanno trovato agonizzante sul letto della stanza 459 dell’hotel Buddha a Varanasi. Gli amici chiamarono subito i soccorsi e avvertirono l’ambasciata italiana, ma il ragazzo morirà poche ore dopo. Da quel momento sono partite le indagini dei giudici e, secondo l’esame autoptico, effettuato da un medico esperto in oculistica, il giovane non sarebbe morto per un malore, ma per asfissia e sul corpo sarebbero state segni compatibili con una colluttazione.
Da quel momento, i responsabili delle indagini hanno seguito la pista dell’omicidio passionale e i due ragazzi sono stati subito incarcerati: secondo la ricostruzione dell’accusa, Elisabetta e Tomaso avrebbero ucciso Francesco per poter iniziare una relazione sentimentale, dato che la donna e la vittima, all’epoca, stavano insieme. Per i due viene chiesta la pena di morte, ma il 23 luglio 2011 la corte indiana li ha condannati all’ergastolo. Dopo l’ultimo ricorso delle famiglie, la Corte Suprema chiamata a pronunciarsi sulla vicenda ha deciso di annullare il verdetto.