Con lei sono stati 50, forse 60 clienti, in meno di un anno. E in 400 hanno risposto agli annunci sui giornali. La regola era che lei, baby squillo di 15 anni e mezzo, quegli uomini andasse a trovarli a casa loro, mentre la madre organizzava gli incontri e si preoccupava di mettere da parte i guadagni. L’incubo della ragazza, cresciuta nella Val d’Enza, un pugno di comuni tra Reggio Emilia e Parma, è finito grazie all’intervento dei carabinieri e dei servizi sociali. Ad allertarli un vicino di casa che ha fatto denuncia, e le tante voci di paese: “Non vorrei che quella ragazzina avesse strani giri”. Quando la 15enne ha trovato il coraggio di parlare, ha svelato una vera rete di rapporti: “Tutto è iniziato nel 2012 con un amico di famiglia”, ha raccontato lei un anno e mezzo fa ai militari. Ora per la mamma e per il “cliente numero uno” (quello con cui la ragazza per la prima volta era stata costretta ad andare) il pubblico ministero di Bologna Beatrice Ronchi ha già chiesto il rinvio a giudizio. Ma le indagini sulla rete dei clienti in Val d’Enza proseguono.
Tutto parte proprio da quel cliente numero uno, un amico con cui la mamma aveva un debito. Da qui l’idea di sdebitarsi proprio vendendo sua figlia, all’epoca 15enne: “La sua non era una famiglia ricca, ma neppure una famiglia sul lastrico”, spiega a ilfattoquotidiano.it l’avvocato Marco Scarpati, difensore della ragazza. Dopo essere stata diverse volte con l’amico della mamma, ogni volta per 350-400 euro, la madre pubblica anche degli annunci sui giornali, e le chiamate arrivano a decine: “Gente normalissima”, spiega l’avvocato Scarpati. “Dall’operaio al professionista, dall’imprenditore al commerciante. Anche le età erano le più varie: c’erano ventenni e sessantenni”. Non tutti capivano che la ragazza fosse minorenne, anche perché lei dimostrava più anni. Il rituale poi era sempre lo stesso: la giovane raggiungeva le case di chi la chiamava e li doveva offrirsi al cliente. “Spesso – spiega però l’avvocato Scarpati – erano anche delle coppie che la contattavano”. Di quelle abitazioni che visitava la ragazzina fotografava mentalmente ogni particolare: il nome della via, la targa della macchina parcheggiata in cortile, i quadri alle pareti, l’arredamento. Quando mesi dopo i Carabinieri, aiutati anche dai tabulati telefonici, andranno a casa dei clienti, rimarranno stupefatti da come la vittima ricordasse davvero tutto alla perfezione, permettendo così agli investigatori di incastrare chi la aveva sfruttata.
Il calvario dura da metà 2012 a metà 2013, poi la denuncia del vicino fa muovere i servizi sociali dell’unione dei comuni della Val d’Enza che avvicinano la ragazza. E quando gli assistenti capiscono in che giro è finita, la allontanano dalla mamma. Ma perché la baby squillo inizi a parlare ci vuole tempo: “Era una figlia molto dipendente dalla mamma psicologicamente”, spiega l’avvocato Scarpati. “Solo dopo un po’ di terapia psicologica ha iniziato a parlare. Allora, grazie alla sua memoria, ha fatto venire a galla tutto quanto”.