Un esponente degli houthi precisa: "Ci interessa solo il controllo delle caserme per evitare saccheggi". Il loro leader parla già da capo dello Stato: "Garantirò gli interessi del popolo". Gli scontri per le strade della capitale continuano. Dopo l'attacco all'ambasciata Usa, due navi da guerra americane sono pronte per far partire l'evacuazione. Ban Ki-moon: "Ripristinare l'autorità del governo legittimo"
Dopo un assedio di 24 ore, i ribelli sciiti houthi sono riusciti a prendere il controllo del palazzo presidenziale di San’a, capitale dello Yemen. La notizia, diffusa su Twitter dall’emittente Al Arabiya conferma la riuscita del colpo di Stato architettato dai ribelli, suggellando i timori espressi, lunedì, dal ministro dell’Informazione, Nadia al-Sakkaf: “Siamo a un passo dal golpe. Potremmo vedere un altro Yemen entro stasera”. Lo stesso ministro ha poi comunicato che i ribelli hanno iniziato a bombardare la residenza del presidente, che, da quanto riportato da un funzionario governativo, sta bene.
Il presidente, Abd Rabbuh Mansour Hadi, aveva detto in mattinata che lo Yemen è di fronte a un “bivio” e la posta in gioco è la sua esistenza. Il capo dello Stato aveva voluto lanciare un appello a tutte le forze politiche, compresi i ribelli houthi, per intavolare un dialogo sulla crisi in corso nel Paese. “Oggi si può discutere e risolvere, ma domani o dopodomani potrebbe non essere più possibile farlo”. “L’ondata rivoluzionaria ha ottenuto importanti conquiste, su tutte il documento di dialogo nazionale”, ha detto in risposta il leader dei ribelli, Abdel-Malek al-Houthi, che intervenendo sulla tv al-Maseera ha accusato il presidente di aver protetto i corrotti e di aver “armato Al Qaeda, rifiutandosi di utilizzare l’esercito contro i terroristi”. Houthi, che ha anche minacciato il governo di una ulteriore escalation se non verrà attuato il piano di pace dell’Onu, siglato dalle due fazioni a settembre, ha parlato già da capo dello Stato: “Garantirò l’interesse degli yemeniti”.
Gli scontri tra ribelli e forze governative sarebbero ancora in corso e numerosi colpi d’arma da fuoco sono stati esplosi nelle scorse ore nei pressi del palazzo presidenziale e anche al suo interno. Secondo Al Jazira, almeno due guardie presidenziali sono rimaste uccise. I morti, dall’inizio degli scontri, salgono così a undici. Tra questi non c’è il ministro della Difesa, Mahmud Subaihi, che è scampato a un tentato omicidio. Lo ha reso noto l’agenzia di stampa yemenita Mareeb citando fonti ufficiali. L’attentato si è verificato all’uscita di Subaihi dalla residenza del presidente. I miliziani sciiti houthi avrebbero sparato in direzione del ministro e gli uomini della sicurezza avrebbero risposto al fuoco.
Sull’attacco al palazzo è arrivata però una precisazione da Daif Allah al-Shami, esponente politico degli houti, secondo cui i ribelli hanno preso il controllo delle caserme delle guardie presidenziali che si trovano all’interno dell’edificio, per proteggerle dopo l’abbandono del comandante che, al contrario delle notizie diffuse in mattinata, non sarebbe stato arrestato. “Non vogliamo prendere il controllo del palazzo presidenziale. – ha affermato – Vogliamo solo dispiegare i nostri comitati popolari attorno ad esso e attorno alla base delle guardie per evitare un possibile saccheggio”. Il colonnello Saleh al-Jamalani, comandante delle forze per la protezione del presidente, sottolineato invece che il saccheggio del deposito armi è avvenuto, proprio da parte dei miliziani che sono penetrati nel palazzo.
In mattinata, riporta la Cnn online, è stato attaccato anche un veicolo dell’ambasciata americana a San’a, raggiunto da alcuni spari mentre transitava nei pressi della sede diplomatica. Non è ancora chiaro chi abbia attaccato il mezzo, ma i testimoni presenti all’interno raccontano che uomini armati avrebbero prima sparato in aria e poi mirato il veicolo. Nel frattempo, nel Mar Rosso, due navi da guerra americane sono pronte a far evacuare il personale che si trova nell’ambasciata degli Usa nel caso in cui arrivasse un ordine dal Pentagono. Secondo la Cnn, l’evacuazione potrebbe essere condotta anche per via aerea o via terra, ma in questo caso comporterebbe rischi.
Intanto, a New York, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si è riunito per discutere della situazione in Yemen, ribadendo il sostegno al presidente Hadi. Il segretario delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha lanciato un appello affinché venga ripristinata l’autorità del governo legittimo, dicendosi preoccupato e auspicando la fine delle ostilità. L’inviato speciale Onu nel Paese, Jamal Benomar, in collegamento video ha detto ai membri che i miliziani houthi hanno persuaso le unità militari a non combattere contro di loro.
Da lunedì, l’assedio dei ribelli sciiti si è intensificato fino a portarli alle porte del palazzo presidenziale. Come aveva spiegato al-Sakkaf, una parte dell’esercito regolare si è rifiutata di combattere per difendere il governo dall’avanzata degli houthi: “Parte dell’esercito – ha dichiarato ai microfoni di Al Jazira – non obbedisce agli ordini del presidente Abed Rabbo Mansur Hadi. Credo che nessuno abbia il controllo di San’a in questo momento”. Controllo che, col passare del tempo, è finito in mano agli antigovernativi che hanno combattuto per le strade della capitale. In serata, per le vie di San’a si vedevano numerosi “corpi per terra” e un continuo passaggio di ambulanze, come testimoniato su Twitter dall’attivista Hisham Al-Omeisy.
Gli houthi, originari delle regioni del Nord del Paese, sono scesi nella capitale nel settembre scorso, impadronendosi di diversi quartieri di San’a dopo tre anni di violenze seguite al rovesciamento dell’ex uomo forte dello Yemen, Ali Abdullah Saleh. I ribelli sciiti sono accusati di essere sostenuti e armati direttamente dall’Iran, cosa che negano. La loro offensiva della scorsa estate in aree tradizionalmente sunnite ha provocato la reazione anche di clan tribalie rischia di far guadagnare consensi ad Al Qaeda, anche a causa delle vittime civili provocate dai ripetuti bombardamenti dei droni americani sulle roccaforti dell’organizzazione terrorista. Proprio un sedicente membro di Al Qaeda nello Yemen ha rivendicato l’organizzazione anche dell’attacco compiuto il 7 gennaio scorso dai fratelli Kouachi alla sede del settimanale satirico Charlie Hebdo a Parigi.