La sentenza della Suprema corte sul caso Confalonieri-Corriere della sera sancisce che non possono essere riportati neppure brevi brani di carte d'indagine depositate e non coperte da segreto istruttorio. L'avvocato Malavenda, esperta di diritto dell'informazione: "Un monito per i cronisti, che ora rischieranno cause milionarie". E una pietra tombale sulla pubblicazione delle intercettazioni
Dalla Corte di cassazione arriva “un monito ai giornalisti, in particolare ai cronisti giudiziari, che in futuro faranno bene ad astenersi a riportare fra virgolette brani anche minimi di atti di indagine“. Non usa mezzi termini l’avvocato Caterina Malavenda, fra i massimi esperti in Italia di diritto dell’informazione, commentando per ilfattoquotidiano.it la sentenza della Terza sezione civile della Suprema corte che fissa maglie più strette per la pubblicazione sui media di atti giudiziari non coperti da segreto istruttorio, in un procedimento avviato dal presidente di Mediaset Fedele Confalonieri contro Rcs-Corriere per una serie di articoli sul processo diritti tv pubblicati nel 2005. La sentenza, è bene sottolinearlo, non riguarda atti giudiziari segreti, non pubblicabili per definizione, ma le carte già depositate e quindi a diposizione delle parti. Carte che, sanciscono ora i giudici, possono essere pubblicate dai mezzi d’informazione solo per riassunto, senza “estrapolazione di frasi”, si legge nella sentenza, dunque senza neppure qualche breve virgolettato. Una pietra tombale, fra l’altro, alla diffusione di brani di intercettazioni telefoniche e ambientali mentre le indagini preliminari o i processi sono in corso. Anche queste dovranno essere riassunte, con l’effetto paradossale di imporre al giornalista una buona dose di arbitrio nel descriverle.
L’avvocato Malavenda premette di essere parte in causa, in quanto legale di Rcs, e quindi di non voler entrare nel merito della contesa tra Confalonieri e il Corriere. Ma una sentenza di Cassazione va oltre il singolo caso. Il rischio, afferma, è che d’ora in poi i giornalisti che riportano virgolettati di atti giudiziari siano esposti alla richiesta di sostanziosi risarcimenti (la richiesta di Confalonieri a Rcs è di 200mila euro). “In sede penale i procedimenti di questo tipo si chiudono solitamente con un’oblazione (cioè il pagamento di una sanzione limitata, ndr)”, spiega l’avvocato, “ma ora la sentenza potrebbe indurre gli interessati a promuovere cause civili milionarie“. Con un evidente effetto bavaglio sulla cronaca giudiziaria, che spesso coinvolge personaggi di grande rilievo pubblico come politici, funzionari pubblici, imprenditori, grandi gruppi industriali e finanziari.
Quella della Cassazione è sostanzialmente una marcia indietro. La legge attualmente in vigore (l’articolo 114 del codice di procedura penale) vieta “la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari”. E “la pubblicazione, anche parziale, degli atti del fascicolo per il dibattimento, se non dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, e di quelli del fascicolo del pubblico ministero, se non dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello”. E’ comunque “sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto”. Finora la giurisprudenza ha considerato legittima la pubblicazione di pochi e brevi virgolettati a corredo di articoli che, appunto, riassumevano il contenuto di atti giudiziari (spesso composti da centinaia o migliaia di pagine) non secretati. Con la sentenza Confalonieri-Corriere, la Cassazione afferma ora che “non può derogarsi al divieto di pubblicazione di tali atti (mediante riproduzione integrale o parziale o estrapolazione di frasi) in dipendenza del dato quantitativo della limitatezza della riproduzione, trattandosi di deroga non prevista dalla norma”. Per questo la Suprema corte ha rinviato il fascicolo alla Corte d’appello di Milano che, come il tribunale in primo grado, aveva respinto il ricorso di Confalonieri, dando ragione al Corriere e ai suoi cronisti, peraltro assolti anche in sede penale dai reati di diffamazione e pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento.
La norma in questione, peraltro, non è posta a tutela degli imputati, ma del giudice, che secondo il principio del “giusto processo” deve emettere il verdetto esclusivamente in base a quanto emerge nel dibattimento in aula, ripartendo da zero rispetto agli atti d’indagine. Fino a questo momento, però la giurisprudenza ha considerato che, riguardo a una possibile influenza esterna, inserire un numero limitato di brevi citazioni testuali nell’articolo non facesse alcuna differenza rispetto al nudo “riassunto”. Anzi, come ha argomentato il giudice di primo grado del caso Confalonieri-Rcs, i virgolettati servono a “suffragare la verità della notizia”, non solo a garanzia dei lettori, ma anche “per evitare una possibile querela per diffamazione”.