Nel decreto sul credito la struttura del veicolo ad hoc per la ristrutturazione, in un tempo massimo di dieci anni, delle aziende in perdita ma "con buone prospettive industriali". Sarà a partecipazione pubblica ma aperto a fondi di investimento e investitori istituzionali. Intanto il ministero dello Sviluppo nomina Gnudi, Carruba e Laghi commissari straordinari. Confindustria: "Esproprio"
Sono l’attuale commissario Piero Gnudi, il subcommissario Corrado Carrubba e il commercialista Enrico Laghi i tre nuovi commissari straordinari dell’Ilva nominati dal ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi. La decisione sarà formalizzata nel decreto ministeriale di ammissione del siderurgico alla procedura di amministrazione straordinaria prevista dalla legge Marzano modificata ad hoc dall’ultimo decreto Salva-Ilva. Gnudi ha presentato l’istanza presso il ministero e il Tribunale di Milano proprio oggi. Nel frattempo il governo Renzi, nel decreto sul credito varato martedì dal Consiglio dei ministri, ha delineato la struttura del veicolo che sarà messo in campo per la ristrutturazione e il rilancio delle aziende in perdita ma con “buone prospettive industriali e di mercato”. A partire proprio dall’Ilva.
Si tratterà di una società per azioni a partecipazione pubblica ma aperta anche a fondi di investimento privati, fondi pensione, banche e altri investitori istituzionali “nel quadro di un progetto triennale ad esecuzione progressiva”. Alcune categorie di investitori potranno beneficiare di una garanzia dello Stato, a patto di riversare nelle casse pubbliche una quota (la percentuale non è specificata) degli utili che intascheranno. Va sottolineato che la società è tenuta a distribuire almeno i due terzi di quelli che produrrà. Gli altri azionisti, quelli che non godono della garanzia, avranno però “voto maggiorato nelle assemblee sociali”. La newco dovrà portare a termine il risanamento e uscire dal capitale delle partecipate “entro sette anni”, ma “tale periodo potrà essere prorogato di tre anni per specifiche ragioni”. Vale a dire che non si può escludere che l’Ilva e le altre aziende che saranno sottoposte a questa “cura” restino sul groppone dello Stato fino al 2025.
La mossa dei Riva e l’attacco di Confindustria: “Esproprio senza indennizzo” – Sullo sfondo, poi, resta lo spettro di un possibile ricorso dei Riva, azionisti di maggioranza con il 90% del capitale. Martedì Claudio Riva, presidente di Riva Fire e non coinvolto nei procedimenti giudiziari che hanno portato all’estromissione della famiglia da parte della magistratura, ha infatti scritto al governo e ai presidenti delle commissioni Industria e Ambiente del Senato, Massimo Mucchetti e Giuseppe Francesco Marinello, per chiedere che l’azienda non sia posta in amministrazione straordinaria e preannunciare la presentazione di una “proposta concreta di salvataggio e rilancio” che intende presentare giovedì nel corso dell’audizione davanti alle commissioni riunite. E il direttore generale di Confindustria, Marcella Panucci, ha sostenuto che il ricorso alla procedura Marzano è uno “spossessamento della proprietà” che “appare ancor più grave in assenza di un rinvio a giudizio degli imputati nei procedimenti penali aperti che riguardano la vicenda Ilva, senza considerare la posizione dei soci di minoranza che non sono in alcun modo coinvolti nelle indagini e che pure subiscono quello che di fatto appare come un vero e proprio esproprio senza indennizzo“. In questa situazione, ha detto Panucci, “è concreto il rischio di andare incontro a lunghi contenziosi e ingenti richieste risarcitorie”. Non solo: secondo la rappresentante degli imprenditori “si è sempre eluso, e si continua a eludere, il vero problema di fondo, che è quello delle risorse“: “Il fabbisogno finanziario dello stabilimento per tornare a una situazione di pieno utilizzo della capacità produttiva è stimabile in oltre un miliardo di euro, cui vanno aggiunti gli investimenti necessari per l’attuazione completa dell’Aia, valutati dalla gestione commissariale in circa 1,5 miliardi”.
Via libera all’ingresso di Cassa depositi e prestiti nella newco – Ma l’esecutivo nel frattempo procede per la sua strada. L’articolo 7 del decreto di martedì, intitolato “Società di servizio per la patrimonializzazione e la ristrutturazione delle imprese italiane”, dispone che la newco avrà lo scopo di promuovere e realizzare operazioni di “ristrutturazione, sostegno e riequilibrio” di gruppi con “temporanei squilibri patrimoniali e/o finanziari” superabili attraverso una “ridefinizione della struttura finanziaria” e/o una “adeguata patrimonializzazione o interventi di ristrutturazione”. Un escamotage che permette di aggirare i vincoli che impediscono a Cassa depositi e prestiti di entrare nella partita del siderurgico di Taranto. Per statuto, la cassa che gestisce il risparmio postale degli italiani non può infatti investire in realtà che non siano in utile. Ma nulla le impedirà invece di entrare nel capitale di questa nuova società di servizio, che a sua volta prenderà in affitto gli impianti del siderurgico. Il comma 2 prevede esplicitamente che la newco possa “compiere operazioni di finanziamento, acquisire o succedere in rapporti esistenti se del caso ridefinendone le condizioni e i termini, al servizio dello sviluppo operativo e dei piani di medio-termine all’uopo predisposti, compreso l’affitto o la gestione di aziende, rami di aziende o siti produttivi“.
Gli indiani confermano “interesse”, ma solo sulla carta – Intanto i gruppi che in passato avevano manifestato interesse per l’acquisizione del siderurgico continuano a dirsi in partita, pur senza sbilanciarsi. Ondra Otradovec, direttore area fusioni e acquisizioni di Arcelor-Mittal, in audizione nelle commissioni Ambiente e Industria al Senato ha garantito che il gruppo è “molto interessato”. “Siamo pronti a continuare a lavorare con il governo italiano e il commissario straordinario per poter arrivare a una positiva conclusione della trattativa”, ha affermato, “ma alla fine non siamo interessati a essere soci di minoranza, il nostro obiettivo è di diventare soci di maggioranza“. Anche se come è noto il colosso indiano non ha mai presentato un’offerta vincolante. E anche Giovanni Arvedi, presidente del gruppo omonimo, si è detto disposto a entrare nella newco che gestirà gli stabilimenti “anche con una piccola quota in un’ottica di razionalizzazione del sistema italiano dell’acciaio”.