La buona notizia è che per acquistare la cosiddetta pillola del “quinto giorno” molto presto potrebbe bastare chiederla direttamente al farmacista, senza bisogno di ricetta medica; la cattiva notizia è che in Italia si sta facendo di tutto per boicottare questo tipo di prospettiva. Vale quindi il principio degli opposti che si annullano, per cui nulla di fatto e avanti (o meglio, indietro) come prima.
Una decina di giorni fa la Commissione Europea, ha dato il via libera alla vendita nelle farmacie, senza prescrizione medica, della pillola dei cinque giorni dopo, nota in commercio come Ella One (Ulipristal Acetato il principio attivo). La decisione – che rappresenta un indirizzo di massima stabilito in sede europea ma che evidentemente dovrà ottenere una formale ratifica in ogni Paese – in Italia dovrà attendere il pronunciamento favorevole dell’Aifa, l’Agenzia del Farmaco.
La decisione della Commissione Ue, corroborata dalle analisi e dalle delucidazioni espresse dall’Ema, l’agenzia del farmaco europea, è arrivata subito dopo l’inizio del nuovo anno, ma sino ad oggi l’Aifa non si è ancora pronunciata. Quindi, in Italia, per poter acquistare una confezione di Ulipristal Acetato una paziente deve prima recarsi da un medico, fare nel frattempo un test di gravidanza e successivamente ottenere l’impegnativa che le consentirà di presentarsi al bancone della farmacia.
Ema ha spiegato che la pillola non ha effetti collaterali. Se viene presa a gravidanza già in corso non provoca danni alla persona. In Italia, invece, le donne che vogliono assumerla devono fare il test per escludere che siano incinte. Così le statistiche dicono che nel nostro Paese, in media, solo 20mila donne l’anno scelgono la pillola del quinto giorno, a fronte delle 320mila che optano per la pillola del giorno dopo. Come riporta in una recente inchiesta il quotidiano La Repubblica, nei confronti dell’istanza presentata ad Aifa di togliere l’obbligo di test e prescrizione, l’agenzia ha risposto che “trattandosi di un aspetto eticamente rilevante avrebbe girato tutto al ministero”.
Quel che preoccupa è la forte presa di posizione della medicina cosiddetta cattolica. “Confido che governo e Aifa blocchino tutto” ha detto Filippo Boscia, ginecologo e presidente dell’Associazione medici cattolici, per poi aggiungere: “Non vogliamo che sia sancito il divieto di usare la pillola del quinto giorno, ma definirla un contraccettivo è una bugia. Usarla vuol dire abortire, ma non è questo che mi preoccupa, quanto il fatto che ormai le giovani hanno rapporti a 13-14 anni. Se iniziano così presto a usare farmaci di questo tipo danneggiano il loro sviluppo riproduttivo”.
Quel che mi stupisce è che la nostra Agenzia del farmaco, un ente che dovrebbe essere superpartes, dia tutti i segnali di voler star ad ascoltare argomentazioni del genere. E quindi di voler “tergiversare” su un tema che in realtà, viste le premesse, potrebbe migliorare di molto il modo con cui una donna si trova ad affrontare problematiche inerenti la vita sessuale. Ma Aifa, evidentemente, preferisce pensare ad altro. Come deliberare l’acquisto di 50 mila trattamenti anti epatiti C, attraverso un farmaco marchiato come “innovazione terapeutica” e per il quale lo Stato avrebbe dovuto stanziare i fondi necessari. Ma ciò non è avvenuto ed ora, quel salasso, pesa tutto sulle casse delle Regioni.
Dalle notizie che circolano questa operazione necessiterà di una copertura finanziaria pari a un miliardo e 800 milioni di euro. Una spesa ascrivibile al cosiddetto “file F” del prontuario regionale, ovvero quello relativo alla copertura di tutti i farmaci, che eserciterà una pressione non indifferente sul bilancio degli enti amministrativi periferici.
Secondo quale criterio Aifa ha deliberato questo tipo di spesa? La domanda rimane ad aleggiare nell’aria, mentre sul fronte dell’introduzione di un farmaco utile ed innovativo, non si prende una decisione celere e precisa. A chi da retta la nostra Agenzia del farmaco?
→ Sostieni l’informazione libera: Abbonati o rinnova il tuo abbonamento al Fatto Quotidiano