In questo post, primo di una piccola serie, descrivo i principali risultati dello studioThe Scientific Competitiveness of Nations” pubblicato su Plos One lo scorso dicembre, che ho scritto con i colleghi Giulio Cimini e Andrea Gabrielli (che ringrazio!).

Misurare la qualità della ricerca scientifica di un paese è di grande interesse per i decisori politici allo scopo di definire sia il suo finanziamento sia le sue priorità. Articoli e citazioni rappresentano una misura dell’output dell’investimento in ricerca: il numero di articoli scientifici è correlato all’attività svolta e il numero di citazioni da questi ricevuti è un surrogato della qualità scientifica, la loro popolarità. Mentre quando ci si riferisce a un singolo ricercatore questi numeri vanno trattati con grandissima cautela (si veda ad esempio qui, qui e qui), quando si considera la produzione di un intero paese si può ragionevolmente assumere, grazie ai grandi numeri in gioco, che ci sia una proporzionalità tra il numero totale di articoli e citazioni e la significatività della ricerca.

Per misurare l’impatto dei sistemi di ricerca delle nazioni abbiamo utilizzato i dati disponibili sul sito Scimago che riguardano 238 paesi, 27 campi scientifici che a loro volta sono suddivisi in 307 sotto-campi. Nell’analisi non abbiamo incluso (in prima battuta) i dati per le scienze sociali e le scienze umane, poiché è noto che le banche dati sono ampiamente incomplete per questi settori: lo stesso non avviene per le scienze naturali, la matematica, l’ingegneria e la medicina in cui le pubblicazioni sono, nella quasi totalità, in lingua inglese e su riviste internazionali. Questa situazione non è solo dovuta a una diversa convenzione adottata nei differenti campi del sapere, ma è anche il riflesso di un problema sostanziale.

Nelle scienze naturali, ad esempio, si studiano fenomeni che sono universali, cioè che occorrono qui e ora come in ogni altro luogo e istante: per esempio, il tempo della fisica è privo di posizione storica, mentre il tempo per i fenomeni sociali è proprio il tempo storico. Nelle scienze sociali il dove è il quando sono perciò fondamentali e questo implica una minore internazionalizzazione dei problemi e una maggiore attenzione a casi in specifici paesi e situazioni.

E’ ovvio che quando si confrontano paesi molto differenti (ad esempio, gli Stati Uniti e la Svizzera) bisogna tener conto del fatto che la produzione scientifica globale dipende dalle dimensioni del paese stesso: ad esempio dal numero di ricercatori o dall’investimento totale in ricerca. Poiché il numero di ricercatori non è semplicemente misurabile (ad esempio, in Italia c’è un problema non banale nel censimento dei ricercatori non permanenti), abbiamo usato, come indicatore per comparare diversi paesi, la spesa in ricerca scientifica e sviluppo. Più precisamente, a tale scopo, abbiamo utilizzato, come prassi in questo tipo di analisi, i dati della spesa dell’istruzione superiore per la ricerca e sviluppo (la cosiddetta Herd) che viene censita dall’Ocse.

journal.pone.0113470.g001

Nella figura sopra, è riportato il rapporto tra il numero totale di citazioni e la spesa Herd (espresso in dollari equivalenti – PPP$) per ogni paese (considerando il numero d’articoli si ottiene un risultato simile). La linea verde è (quasi) una retta: questa relazione implica semplicemente che la produzione della ricerca scientifica dipende linearmente dalle risorse che una nazione ha investito in essa. Le nazioni sopra/sotto la retta (ad esempio, Regno Unito, Israele, Canada, Nuova Zelanda, sopra; Giappone, Cina, Messico, Turchia, sotto) sono più/meno efficienti nella loro produzione scientifica rispetto all’andamento medio: un’analisi più raffinata, di cui discuterò in seguito, è quindi necessaria per identificare le ragioni di queste fluttuazioni. Tuttavia in prima battuta possiamo concludere che nella ricerca scientifica il risultato che si ottiene a livello di paese dipende dall’investimento, con delle deviazioni dalla media piuttosto contenute in quasi tutti i paesi al mondo e sicuramente per l’Italia che, anzi, si posiziona abbastanza bene. Sembra un risultato banale ma vale la pena ricordarlo, data la confusione che leggiamo spesso sul funzionamento della ricerca in Italia.

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