È più fedele alla realtà una citazione testuale o un riassunto? Un virgolettato o una perifrasi? Dovendo raccontare un atto giudiziario, il buon senso suggerisce che la precisa citazione virgolettata dovrebbe garantire le persone citate più di una libera sintesi del giornalista. Ma da oggi, attenti: la perifrasi è obbligatoria, i virgolettati proibiti. Tutta colpa di una sentenza della Cassazione contro tre giornalisti del Corriere della Sera – Paolo Biondani, Luigi Ferrarella e Giuseppe Guastella – che avevano scritto, nel 2005, alcuni articoli sull’inchiesta che riguardava i diritti tv Mediaset, citando anche poche frasi tratte dagli atti processuali.
Se ne dolse il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, che intentò contro i cronisti due cause, una penale e una civile. Le perse entrambe, in primo grado e in appello. I giornalisti avevano infatti raccontato l’inchiesta senza diffamare nessuno e rispettando le tre condizioni canoniche: avevano scritto notizie vere, di interesse pubblico ed esposte con continenza. Le avevano ricavate da atti non più coperti da segreto, il cui contenuto, dice la legge, può dunque essere reso pubblico. I giudici avevano inoltre ritenuto che le citazioni testuali erano così poche, rispetto alla mole degli atti, da “non estendere la conoscenza del lettore oltre il limite del contenuto degli atti”. Ora la Cassazione cambia musica. Confalonieri, attraverso i suoi avvocati Stefano Previti e Alessandro Izzo, aveva chiesto 200 mila euro di risarcimento per diffamazione, violazione della privacy e pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale. La suprema corte, esclusa la violazione della privacy, ha ribadito che non c’è diffamazione, vista “la pacifica aderenza” dei resoconti giornalistici “al contenuto degli atti”. Ma afferma che pubblicazione arbitraria c’è stata: perché un paio di articoli del codice vietano la pubblicazione “di atti o documenti di un procedimento penale di cui sia vietata per legge la pubblicazione” (articolo 684) e “di atti non più coperti da segreto” (articolo 114), di cui può essere raccontato solo “il contenuto”. Chi trasgredisce se la cava con una contravvenzione, così è prassi comune che i giornalisti raccontino le inchieste pubblicando anche citazioni testuali, di cui di solito non si duole nessuno. Ma ora la terza sezione civile della Cassazione ha annullato la sentenza che aveva rigettato la pretesa risarcitoria di Confalonieri: dovrà essere riesaminata in un nuovo appello. Ha sancito che la pubblicazione dei virgolettati è illegittima: “Fatta salva la possibilità di pubblicare il contenuto di atti non coperti da segreto, non può derogarsi al divieto di pubblicazione (con riproduzione integrale o parziale o estrapolazione di frasi)”. Non ammessa neanche la “modica quantità”: perché, “quanto al dato quantitativo, non si rinviene nella norma alcuna deroga che consenta la trascrizione di brani di limitata estensione”.
Le conseguenze per la libertà di stampa paiono enormi. Se passa il principio sostenuto dalla Cassazione, d’ora in avanti non potrà più essere pubblicata sui giornali e sul web o letta in tv neppure una parola degli atti giudiziari, che dovranno essere raccontati con incerte e più insicure perifrasi. Altrimenti, chiunque sia citato, anche correttamente, potrà chiedere un risarcimento, ben più pesante della oblazione fin qui possibile. La situazione è aggravata dal fatto che ci sono cinque anni di tempo per aprire una causa: dunque da oggi potrebbero essere avanzate centinaia o addirittura migliaia di richieste di risarcimento per tutti gli articoli e i servizi su giornali, web e tv negli ultimi cinque anni. Un superbavaglio.
Twitter: @gbarbacetto
il Fatto Quotidiano, 22 Gennaio 2014
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