La legge elettorale delimita le regole del gioco. Quindi, al suo fondamento, c’è il principio di non svantaggiare o avvantaggiare deliberatamente uno dei giocatori in campo. In secondo luogo una legge deve rispettare la Costituzione e non tentare di frodarla o anche solo eluderla. Tenterò di illustrare le ragioni che mi spingono a dire che questa legge è illegale e anche di indicare i titolari della responsabilità di questo esito.
Premessa.
Nel 1991 il popolo italiano fu chiamato ad abrogare il sistema delle preferenze multiple. Un plebiscito di sì decretò non soltanto la morte delle preferenze, tecnica di sopraffazione dei più forti (o danarosi) che aveva generato corruttele di ogni genere ed espulso ogni tentativo di bonifica dei partiti, ma sancì solennemente la fine del proporzionale come sistema di rappresentanza politica in ragione di quel mercimonio di scambi con i quali piccoli e grandi partiti gestivano il bene comune.
Nel gennaio 2013 la Consulta ha dichiarato incostituzionale la legge elettorale vigente, chiamata Porcellum, e il sistema delle liste bloccate e dei debordanti premi di maggioranza che inficiavano il principio del voto libero, segreto e uguale per tutti.
Il legislatore, questo legislatore, per formulare la nuova legge elettorale avrebbe dovuto tener presente e rispettare i due vincoli che gli erano stati imposti: la volontà popolare e il paletto costituzionale. E infatti proprio questo criterio ispirò nel settembre 2013 una mozione promossa dal deputato pd (oggi renziano) Roberto Giachetti che chiedeva al Parlamento il ritorno alla legge detta Mattarellum: avrebbe offerto collegi uninominali di dimensione ristretta, voti contrapposti a candidati del territorio, e per i partiti più piccoli il cosiddetto diritto alla tribuna (il 25 per cento dei seggi distribuiti col proporzionale). La mozione ottenne 100 voti favorevoli (alcuni del Pd, tutto il M5S e Sel). Contrari allora Enrico Letta (il cui governo ancora era sostenuto da Berlusconi), naturalmente Forza Italia e la Lega.
Oggi – per smontare il Mattarellum – l’unico in grado di adempiere al rispetto della Costituzione e della volontà popolare, si dice, frodando di nuovo l’intelligenza, che anche nei collegi uninominali i candidati più forti sono imposti dalle segreterie. Dove sarebbe la differenza? In effetti è così se non si immagina come indispensabile la selezione delle candidature attraverso le primarie regolamentate per legge. Anche in questo caso il Pd è stato ben felice di non mettere nel piatto delle riforme indispensabili l’imposizione per legge delle primarie. Poteva Berlusconi, il titolare di un partito personale, accettarle? Mai. Nessuno ha fiatato.
La prima responsabilità è di Beppe Grillo.
Quella felice scelta del Movimento di votare la mozione Giachetti ed esaltare le contraddizioni in seno al Pd, la sua voglia invincibile di inciucio, il suo desiderio di far finta di aprire a tutti ma di volere concludere in realtà con pochi è stata prestissimo invalidata dalla scelta di Grillo per il proporzionale. Anche qui una scelta che sapeva di interesse privato: era una legge buona solo per il Movimento che nella sua strategia politica rifiuta ogni alleanza. Non per gli altri.
Invece se questa legge dev’essere sulle regole, essa dev’essere condivisa dal maggior numero dei partecipanti al gioco. Dunque Grillo non l’ha costruita per farsela accettare ma per farsela rifiutare ibernando drammaticamente la vitalità, l’energia, il desiderio di promuovere il cambiamento che in tanti auspicavano votando il Movimento.
La scelta di Grillo ha poi finito per disinibire definitivamente il Pd renziano. Matteo non aspettava altro per siglare una comunione di beni col finto oppositore, il Cavalier Banana. Tracimando e sovvertendo la legalità costituzionale e la logica dei comportamenti il Pd prima vota per espellere dal Parlamento per indegnità il senatore Berlusconi (novembre 2013) e poi sceglie (gennaio 2014) deliberatamente di riabilitare l’espulso, il condannato, il pregiudicato. Spiega che la necessità delle cose (falso clamoroso!) gli impone il nuovo servaggio. Ancora una volta il Pd utilizza l’indisponibilità del M5S come foglia di fico, come excusatio per la sua manifesta e pervicace volontà di accoppiarsi col Pregiudicato.
Renzi e Berlusconi firmano lo scambio. Il primo riabilita la personalità indegna restituendola agli onori della cronaca e della Patria nelle rinnovate funzioni di padre costituente e in più assicura che i suoi affari privati, leciti e persino illeciti (la manina, eh!), siano sottratti al controllo di legalità. Il secondo destina parte del suo sangue a sorreggere il corpo di Renzi. E’ una trasfusione di potere e di voti che lo spregiudicato Matteo non ha alcuna riserva di accogliere nelle sue vene dal pregiudicato Silvio.
Messo così da parte il Mattarellum, accantonate le primarie che assumono sempre più le sembianze di una corsa truccata in favore del maggiorente di turno, si stabilisce che la Consulta sia un organo eversore e che il Porcellum, truccandolo un po’, possa resistere ai tempi moderni. Ed è quello che accade. Berlusconi, rinunciando al premio di coalizione, rinuncia a correre per vincere ma ottiene di ritornare in sella al partito e nominare da solo la sua tribù di fedeli. Lui nominerà e lui escluderà (con gli odierni sondaggi otterrà 70 parlamentari e tutti saranno eletti per nomina). Accontentato anche Alfano (18 su 18 tutti nominati) e Salvini (60 su 60). Anche Grillo potrà scegliere, se vorrà, da solo (97 su 97) e naturalmente tutti gli altri. L’unico che in qualche modo ospiterà qualche candidato eletto sarà il Pd, ma solo perché ha la vittoria sicura, contrattata col finto oppositore, e con il premio di maggioranza avrà a disposizione un bel numero di seggi (240 su 340) in competizione.
Ma anche qui, fare attenzione. Le liste chi le fa? Il segretario, che è anche il premier e il dominus assoluto. Darà un contentino all’opposizione interna e poi indicherà agli omaggiati (alcuni veri e propri servi, altri esecutori felici e inconsapevoli) il sol dell’avvenire.