Ci sono voluti 13 anni e un governatore italiano (e, a essere onesti, non so quale delle due circostanze sia più bizzarra) affinché la Bce diventasse finalmente una vera banca centrale. Mario Draghi ha finalmente annunciato ciò che tutti gli analisti dotati di buonsenso si aspettavano: una prima vera forma di mutualizzazione dei debiti pubblici nazionali, mediante un massiccio programma di acquisto di titoli.
Evviva. Osanna. Alleluja.
L’intervento è importante e migliore delle aspettative sotto ogni punto di vista: un totale di 1,1 trilioni di euro, ripartiti in tranche mensili da 60 miliardi, da investire in di titoli del debito pubblico e privato tra marzo 2015 a settembre 2016. Anche la negletta Grecia, contrariamente a quanto riportato nelle assurde indiscrezioni pre-comitato (e compatibilmente con i limiti di concentrazione del 20% su ciascuna emissione e del 33% su ciascun emittente), è inclusa tra i debitori eleggibili.
Gli acquisti saranno quasi integralmente a carico dei bilanci delle singole Banche Centrali Nazionali, mentre la Bce deterrà in proprio solo una quota dell’20% dei titoli “aggiuntivi”. Queste modalità operative hanno creato un bizzarro dibattito già nel corso della rassegna stampa tenuta da Draghi, durante la quale numerosi giornalisti hanno interrogato il governatore sul senso della mancata “condivisione del rischio” che ne deriverebbe. A tal proposito – e prima che si scatenino le paranoie dei vari complottisti di casa nostra – voglio subito chiarire che il canale mediante il quale vengono acquistati i titoli non ha alcuna influenza sull’efficacia delle manovre né sulla effettiva ripartizione del rischio di mercato: tutte le Bcn, infatti, acquisteranno i titoli emettendo Euro (vale a dire una sola moneta spendibile ovunque nell’Area Euro) e tale circostanza priva di per sé di qualsivoglia rilevanza il fatto che i titoli acquistati figurino su questo o su quel bilancio.
Insomma, checché vaneggiasse Schauble o le migliaia di catastrofisti nostrani pronti a giurare sulla prossima dissoluzione dell’Unione Monetaria, il dado è tratto: l’Euro è irreversibile, indietro non si torna, la carriera dei piangitori della lira finisce oggi.
La domanda che rimane a questo punto è: la manovra basterà a riportare le aspettative di inflazione vicine a quel 2% scritto nella pietra votiva di “Nostra Signora di Francoforte”? Sarà sufficiente a generare la ripresa dopo sei anni di recessione? La risposta è la solita: no.
No, a meno che non sia infranto anche l’ultimo terribile tabù dell’ortodossia waigeliana (da Theo Waigel, pugile tedesco noto per aver pestato a sangue e ripetutamente Romano Prodi e 60 milioni di italiani inconsapevoli): il tetto 3% al rapporto Deficit/Pil.
Come ho più volte scritto su questo blog e come non mi stancherò mai di ripetere, una politica monetaria espansiva serve a pochissimo se non finanzia gli investimenti pubblici e, attraverso questi, la domanda aggregata; solo un vigoroso incremento della domanda, inoltre, può sostenere (almeno nel breve periodo) quella crescita che a sua volta rende utili le copiose risorse finanziarie messe a disposizione dalla Banca Centrale. Insistere, al contrario, su bilanci pubblici inchiodati al pareggio, vuol dire lasciare in cassaforte quei soldi e abbandonarsi alla masochistica e impotente attesa di “tempi migliori”, nel frattempo mietendo vittime e accrescendo quel disagio sociale diffuso che genera mostri (ovvero profittatori politici il cui unico talento è rimestare nella disperazione collettiva a colpi di tweet deliranti e ospitate Tv).
Non mi sfugge, ovviamente, quanto sia complicato superare i timori di molti concittadini europei sulla capacità delle amministrazioni pubbliche italiane (nazionali e locali) di impiegare correttamente le risorse che da questo momento verranno massicciamente fornite da tutti i membri dell’area Euro: e, tuttavia, il tentativo va fatto, costasse pure un’altra libbra di sovranità e la condivisione dei processi decisionali di spesa.
Per il momento, intanto, onore al merito: Draghi la sua parte ora l’ha fatta, non possiamo chiedergli più nulla.