Sul futuro della fibra è scontro aperto a Palazzo Chigi tra il vicesegretario della Presidenza del consiglio Tiscar e i consulenti del premier Gutgeld e Guerra. Il primo si batte per un progetto a maggioranza pubblica, gli altri preferiscono un modello privatistico. Che trova d'accordo la Cdp e Telecom, in corsa con Vodafone per rilevare la maggioranza del network in fibra Metroweb
Non basta aver venduto Telecom Italia con l’infrastruttura in rame ai “capitani coraggiosi” che negli anni l’hanno spolpata. Ora si rischia anche di “regalare” a soggetti privati il controllo della nuova rete a banda larga che è essenziale per la sicurezza del Paese. Il dado non è ancora tratto, ma il tempo stringe e lo scontro a Palazzo Chigi è epico. Su un fronte c’è il vicesegretario generale della Presidenza del consiglio, Raffaele Tiscar, che vuole un network di proprietà dello Stato con al centro Metroweb, società in buona parte già pubblica visto che il 46,2% è del Fondo Strategico Italiano della Cassa Depositi e Prestiti e il resto di F2i, partecipato al 16,2% sempre da Cdp. Sul fronte opposto sono schierati il coigliere del premier Yoram Gutgeld e la new entry Andrea Guerra, ex ad di Luxottica, che propendono per la nascita di una nuova società con una quota pubblica, ma con la possibilità per Telecom di controllarne nel tempo il 51 per cento. In mezzo c’è Matteo Renzi, che tace dopo aver promesso ai suoi elettori una rete pubblica in fibra spenta, aperta a tutti gli operatori, nel manifesto politico delle primarie Pd del 2012.
La partita è delicata perché in ballo ci sono 19 miliardi di investimenti per realizzare una rete di nuova generazione che copra l’intero territorio e non solo le aree più popolose e redditizie per gli operatori privati. Il centro del contendere, intorno a cui costruire la nuova infrastruttura, è al momento Metroweb, su cui ci sono manifestazioni di interesse sia di Telecom che di Vodafone. Il suo più importante socio F2i vorrebbe poter vendere le sue quote al miglior offerente per monetizzare a vantaggio dei suoi azionisti, principalmente le banche italiane. L’ipotesi di un’asta per conquistare Metroweb non convince però il presidente di Cdp Franco Bassanini, che teme una corsa al rialzo del prezzo con conseguente danno per l’indebitata Telecom. Per quale ragione? Bassanini ha due cappelli: uno è quello del manager di Stato, l’altro quello delle banche che lo hanno eletto ai vertici di Cdp, gestore dei risparmi postali degli italiani. Le stesse banche che sono fra i creditori di Telecom.
Detta in altri termini, Bassanini è in conflitto di interesse sul caso Metroweb. Forse anche per questo non sembra d’attualità l’ipotesi che il Fondo Strategico Italiano, controllato da Cdp, compri il pacchetto di azioni Metroweb in mano a F2i. Eppure la mossa sarebbe in linea con la missione del fondo guidato da Marco Tamagnini che per rilanciare l’economia sta investendo soldi pubblici nei settori più disparati che vanno dall’hotellerie a cinque stelle della Rocco Forte (76 milioni di euro) fino alla meccanica delle valvole di Valvitalia (151 milioni) e alla farmaceutica di Kedrion (150 milioni). Per di più l’acquisizione di Metroweb richiederebbe un impegno contenuto in relazione ai ritorni pluriennali dell’investimento in fibra: per la sua quota F2i vorrebbe circa 300 milioni attribuendo a Metroweb una valorizzazione complessiva da 600 milioni. In compenso metterebbe le basi per una newco pubblica, che, sul modello Cdp reti e Terna, potrebbe poi aprirsi ai privati per finanziare gli investimenti nella banda di nuova generazione.
Il progetto della rete in fibra pubblica però non piace a Telecom che vede nello sviluppo e soprattutto nella redditività della banda larga l’ultima spiaggia per saldare i debiti con il passato e magari partecipare, in una fase successiva, a un più ampio progetto di integrazione europea con altri ex monopolisti. Il gruppo guidato da Marco Patuano punta insomma a conquistare una posizione dominante nella fibra per intascare buona parte degli introiti presenti e futuri del nuovo network e cerca di ottenere la promessa che potrà acquistare il 51% del capitale di Metroweb. Il piano di Telecom è gradito anche ai suoi soci, presenti e futuri: piace all’azionista in uscita Mediobanca, partecipata dalla famiglia Berlusconi e anche all’industriale francese Vincent Bolloré, da tempo in contatto con la famiglia dell’ex premier Silvio Berlusconi al quale Renzi è legato dal Patto del Nazareno. Che siano queste le ragioni di opportunità dietro cui si nasconde l’assordante silenzio del premier? Difficile dirlo. Qualcuno tira in ballo questioni di sicurezza nazionale perché Telecom controlla Sparkle, proprietaria di 450 mila chilometri di fibra che vanno dagli Stati Uniti al Medio Oriente passando per il Mediterraneo. Sparkle però, secondo La Repubblica, è finita nel mirino di capitali cinesi e comunque, a ben guardare le evoluzioni dell’azionariato di Telecom, è già in mano a soggetti stranieri.
Certo è che i ritardi giocano tutti a favore dell’ex monopolista che è anche nel mezzo di una delicata partita brasiliana di cui sono attori anche il socio in uscita Telefonica e la Vivendi di Vincent Bolloré. Non a caso per tentare di sparigliare le carte Vodafone ha presentato un esposto “preventivo” all’Agcom per chiedere di chiarire se l’acquisto di Metroweb da parte di Telecom non si configuri come una limitazione della concorrenza con la creazione di una nuova posizione dominante. L’authority è al lavoro, ma in un certo senso ha già risposto indirettamente in passato a questo quesito dal momento che, in un’indagine fatta a novembre assieme all’Antitrust, si è detta favorevole ad un’infrastruttura di rete pubblica in fibra spenta da mettere a disposizione delle imprese del settore. Network che fra l’altro, come bene ha spiegato al mondo l’ex agente Cia Edward Snowden, è lo strumento principe che permette ai servizi segreti di tutto il mondo di monitorare le comunicazioni nell’interesse della sicurezza nazionale.