Cinema

Corri ragazzo corri, la Shoah vista con gli occhi di un bambino in fuga

Il regista Pepe Danquart ha scelto di adattare la storia dello scrittore israeliano Uri Orlev. Il film, distribuito da Lucky Red e nelle sale italiane il 26, 27 e 28 Gennaio in occasione della Giornata della Memoria

di Letizia Rogolino

“Dimentica il tuo nome, ma non dimenticare mai che sei ebreo!”. Oggi Yoram Friedman ha 79 anni e vive con la sua famiglia in Israele, ma non può cancellare dalla sua mente quei due anni passati come un nomade tra le foreste della Polonia, all’età di nove anni. Nel 1943, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, è costretto a lasciare il suo villaggio vicino Varsavia, separandosi dai fratelli e dai genitori per la propria sopravvivenza, nel tentativo di fuggire alle truppe naziste.

Ha raccontato la sua storia lo scrittore israeliano Uri Orlev in un romanzo che racconta quella storia di coraggio e resistenza. Il regista Pepe Danquart ha scelto di adattarla per il grande schermo realizzando il film Corri Ragazzo Corri, distribuito da Lucky Red e nelle sale italiane il 26, 27 e 28 Gennaio in occasione della Giornata della Memoria. Il piccolo Srulik, che poi prende il nome di Jurek Staniak per non farsi riconoscere come ebreo, è interpretato dal giovane attore Andrzej Tkacz. Vive in continua fuga tra gli alberi, resistendo alle insidie dei boschi innevati e gelidi. Caccia per nutrirsi e bussa alla porta delle varie fattorie cercando ospitalità in cambio di piccoli lavori di manodopera. “Non si tratta solo degli “Schindler” o dei “John Rabe”, ma anche di semplici contadini anonimi che aiutarono un ragazzino ebreo a sopravvivere alla foresta” ha dichiarato il regista tedesco, premio Oscar nel 1994 con il suo cortometraggio sul razzismo, Schwarzfahrer.

A differenza dei numerosi film che hanno presentato queste tristi e violente pagine della storia, Corri Ragazzo Corri propone un punto di vista nuovo, la Shoah vista con gli occhi di un bambino, che mette alla prova se stesso e la propria resistenza, respingendo la sua vera identità e reinventandosi come un piccolo orfano cattolico polacco. La tragedia dell’Olocausto sembra ancora più tragica se si affronta nell’età dell’infanzia. Il regista segue senza sosta il piccolo Andrzej nei panni di Jurek, che si rivela la guida univoca di una storia di formazione, un’avventura esistenziale in cui il protagonista non perde mai la speranza e la fiducia nel prossimo. Sul suo cammino incontra brave persone che lo accolgono in casa, ma altri sono crudeli e diffidenti, e lo denunciano ai violenti ufficiali della Gestapo, alla continua ricerca di ebrei da sacrificare. Il racconto intorno al quale si costruisce il film si eleva a documento storico, sullo stile del Diario di Anna Frank.

“Questa è la storia di quanti riuscirono ad elevarsi al di sopra delle uccisioni sistematiche di uomini e donne che, rischiando la loro vita, aiutarono coloro che altrimenti non sarebbero sopravvissuti” ha aggiunto il regista in un’intervista. I dolori e le brutalità della guerra restano sullo sfondo, mentre l’azione è limitata alle avventure di Jurek, che affronta sfide immani per la sua età. Scene suggestive si susseguono accompagnate da una colonna sonora poetica e romantica, che non tradisce le emozioni. L’attenzione è tutta sul piccolo protagonista, che regala espressioni sincere ed estremamente verosimili. La fuga incessante verso la libertà è rotta dai suoi continui incubi, nei quali riecheggiano i suoni, le luci e le immagini del ghetto abbandonato e i ricordi della sua famiglia, che lo spingono a non arrendersi, perfino nei momenti più drammatici. Una memoria che non si spezza quella di Jurek e di tanti altri perseguitati di guerra, per ricordare e non dimenticare, non solo il dolore e le prove della malvagità umana, ma anche una stoica solidarietà.

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