Questo pezzo chiude l’annuario 2014 di “Stampo Antimafioso”, il giornale degli studenti milanesi che aderiscono alla rete dei “Siciliani giovani”. Li trovi su www.stampoantimafioso.it
Uno di questi samizdat, nel maggio 69, fu Sopravviverà l’Unione Sovietica fino al 1984?, di Andres Amalrik. Amalrik era un giovane contestatore di buone letture, piuttosto noto ai commissariati ma rigorosamente nonviolento. Il suo samizdat, sosteneva, avrebbe suscitato dappertutto “lo stesso interesse che presenterebbe un pesce divenuto improvvisamente loquace”. Morì nel 1980, e non seppe mai di avere “avuto ragione” quando l’Urss crollò improvvisamente pochi anni dopo la data da lui indicata.
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Cosa scriverebbe Amalrik, se fosse italiano e vivesse oggi? Intanto, si troverebbe subito a suo agio: il sistema italiano, che non prevede particolari vessazioni fisiche per i dissidenti (purché di razza bianca), è tuttavia gerontocratico, nelle sue strutture profonde, non meno della Russia di Breznev. È vero che la propaganda dice il contrario, e che apparatniki giovani vengono assunti qua e là ai posti di comando; ma anche allora i vari Cernenko, Andropov ecc. erano molto al di sotto della media del Politburò e venivano portati ad esempio del ringiovanimento del regime.
Al vecchio mondo sovietico Amalrik nel ’69 dette una quindicina d’anni (in realtà furono venti) di vita. Ma da allora tutto gira molto più in fretta, e probabilmente il nostro assegnerebbe al sistema Italia qualche anno in meno, diciamo una decina, prima dell’implosione o del collasso. Scrivendo senza paura di gulag, ma solo di disoccupazione e di miseria, avrebbe tutto l’agio di concentrarsi sui cinque punti fondamentali del suo samizdat. Eccoli.
1) Il sistema politico, che in teoria è ancora quello dei padri fondatori, in realtà (dalla Prima alla Seconda Repubblica, e da questa al Secondo Regno) è ormai profondamente rattrappito. Non si vota tendenzialmente più, i governi hanno scarso rapporto con le elezioni, gli organi di garanzia (ad esempio l’antica Presidenza) sono stati assorbiti nell’apparato.
2) L’economia, teoricamente ancora italiana, in realtà non ha più relazione col Paese. La principale fabbrica ormai produce in Serbia, vende in America, paga le tasse a Londra ed ha sede effettiva chissà dove.
3) L’ideologia del Paese, monarchico-autoritaria o fascista (cinque guerre di seguito e sostanziale uscita dall’Occidente), non è affatto scomparsa come si credeva ma era semplicemente latente. Sotto forme diverse (tutte, rispetto al fascismo classico, meno “sociali” e più “razziali”) oggi essa coinvolge circa un quarto della popolazione, e suscita simpatie occasionali su un altro quarto.
4) L’età media nel Paese è piuttosto elevata (un quinto della popolazione supera i 65 anni) e il tasso di natalità (meno di un figlio e mezzo per coppia) è viceversa fra i più bassi del mondo. L’abbandono della famiglia d’origine e la formazione di una nuova è sempre più difficile per cause economico-sociali (il lavoro regolare e regolarmente retribuito è ormai praticamente un’eccezione). Aumenta quindi l’emigrazione dei giovani, soprattutto dei più qualificati, che non è più bilanciata dall’immigrazione regolare. L’immigrazione, in particolare, non dà normalmente più luogo alla formazione di nuovi italiani ma di sacche tuttora “straniere”, circondate dall’ostilità dei pre-residenti e quindi impossibilitate a integrarsi in una vera e propria cultura italiana. Quest’ultimo dato è interessante perché, fra tutti i Paesi del mondo, l’Italia è quello che ha più efficacemente e per più lungo tempo (oltre duemila anni) conseguito successi in quest’opera di assorbimento e integrazione: in Lombardia, ad esempio, si sono rapidamente integrati tanto i Longobardi del decimo secolo quanto i Siciliani del ventesimo. Questo processo negli ultimi decenni s’è improvvisamente interrotto, probabilmente a causa dell’abbassamento del livello civile medio della popolazione già residente.
5) Come gli avvenimenti di Roma – ma anche di Milano, di Reggio Emilia, ecc. – hanno ad abundantiam dimostrato, i poteri mafiosi (coi meccanismi economici e culturali conseguenti) sono ormai endemici di quasi ogni parte del Paese. L’antimafia che li contrasta, e che riguarda comunque una parte minoritaria (ma prevalentemente giovane) della popolazione, mostra notevoli limiti o di assorbibilità nel sistema mediatico o di difficoltà a percepire il proprio ruolo come politico (“antimafia sociale”) e non unicamente di testimonianza e denuncia.
Questo, considerato il collasso ormai avvenuto delle formazioni politiche ufficiali (tradizionali, “rinnovate” e “nuove”), rende alquanto credibile la predizione di Amalrik. Per fortuna, fino a questo momento, solo virtuale.