Matthew Gardiner, sindacalista e politico 43enne, ha fatto perdere le proprie tracce e si è unito alla lotta contro lo Stato Islamico al fianco dei combattenti curdi. La polizia ha già aperto un'indagine, ma l'uomo sembra essere riuscito a recarsi nel Paese perché fuori dalla lista dei soggetti sotto controllo
E’ partito per combattere al fianco dei curdi nella lotta contro lo Stato Islamico e, al suo ritorno in Australia, rischia una condanna che potrebbe costargli anche l’ergastolo. Questa la storia riportata dalla Abc online e che ha come protagonista Matthew Gardiner, sindacalista e leader del Partito laburista del Northern Territory australian, che ha voluto dare così il suo contributo nella guerra contro l’Isis. Mentre il suo governo ha deciso di affiancare le forze della coalizione con raid aerei sull’Iraq, il 43enne ha preferito imbracciare il fucile e affiancare in prima linea i peshmerga contro i miliziani dell’autoproclamato califfato, perdendo così anche la sua carica all’interno del partito.
Il governo australiano, però, aveva recentemente fatto sapere che la nuova legge antiterrorismo prevede, tra le altre cose, una condanna fino a 10 anni per chiunque si rechi in zone ad alta presenza di terroristi senza autorizzazione. La decisione del parlamento di Canberra ha l’obiettivo di limitare il fenomeno dei foreign fighters che decidono di arruolarsi tra i combattenti di Abu Bakr al-Baghdadi (circa 90 gli australiani che si pensa siano entrati nell’Isis, ndr). Per quanto riguarda Gardiner, nonostante abbia deciso di arruolarsi con un esercito alleato alla coalizione occidentale, il rischio al suo ritorno è quello di una condanna che può arrivare fino all’eragastolo. “E’ illegale combattere in Siria al fianco di qualsiasi schieramento del conflitto”, ha detto il portavoce del procuratore generale George Brandis: “Se si partecipa illegalmente a conflitti all’estero si rischia fino all’ergastolo al rientro in Australia”. La polizia federale non ha voluto commentare la notizia, ma ha fatto sapere che è già stata avviata un’indagine.
Secondo una prima ricostruzione fatta dagli investigatori australiani, l’uomo, che all’inizio degli anni Novanta ha fatto parte dell’esercito australiano in Somalia come ingegnere, è riuscito a lasciare indisturbato il Paese perché non si trovava nella lista dei soggetti controllati dall’antiterrorismo. L’uomo era recentemente entrato in contatto con una sostenitrice dei peshmerga, su Facebook, che lo avrebbe poi “introdotto” alla lotta dei combattenti curdi per contrastare l’avanzata dei miliziani jihadisti.