Ancora una volta i soggettisti di Hollywood si sono rivelati i migliori analisti politici dei nostri tempi, raccontando con largo anticipo l’ascesa di Matteo Renzi mimetizzata in un noir ambientato a Boston.

Ricordate “The Departed”, la pellicola di Martin Scorsese del 2006, premiata con ben quattro Oscar? La storia è semplice, un remake del film made in Hong Kong “Infernal Affairs”: il boss della locale malavita Frank Costello (Jack Nicholson) infiltra nel distretto di polizia il proprio figlioccio Colin Sullivan (Matt Damon) perché faccia carriera tra le forze dell’ordine e – contemporaneamente – si trasformi nell’informatore ideale per depistare le indagini della giustizia.

Basta cambiare in Denis Verdini il nome Costello e Sullivan in Renzi per decodificare il messaggio cinematografico. Nient’altro che l’antica metafora del cuculo che deposita il proprio uovo nel nido di qualche passeraceo; in modo tale che al suo precoce schiudersi l’intruso si sostituirà ai legittimi pulcini, per trarne indebiti vantaggi in termini di sostentamento da parte dell’inconsapevole madre-uccello vittima dell’inganno.

Che altro ha fatto il Superbone di Rignano sull’Arno già da bambinello, se non insediarsi nella culla dei post-comunisti e post-democristiani per scalare passo dopo passo ogni posizione di potere? Sostituendo le antiche uova di pietra di un discorso politico ormai fossilizzato con le presunte freschezze di un destrismo blairiano, propinato a platee provinciali come il massimo della modernità. Ma sempre mantenendo contatti sottotraccia con il vero ambiente di riferimento, che qualche volta venivano alla luce nelle colazioni (apparentemente inspiegabili) ad Arcore e ora – a operazione destabilizzazione pressoché portata a termine – nei contatti ravvicinati del Nazareno. Esiti spiegabili riferendosi alla matrice culturale influenzata – innanzi tutto – dal proprio milieu parentale. A cominciare dallo zio materno Nicola Bovoli; in affari con Silvio Berlusconi già dagli anni Ottanta, fornendo alla Fininvest il famoso “quizzy”; un apparecchio che consentiva di partecipare da casa a tutti i quiz del Biscione. Il caro zio che raccomandò l’adorato nipotino Matteo come partecipante alla Ruota della fortuna, la trasmissione a premi presentata da Mike Bongiorno.

Forte di tali viatici tutto l’operato del giovane premier acquista una sua logica, che il padrino dei padrini Silvio Berlusconi esplicita con l’abituale franchezza (in effetti, sfacciataggine): “Matteo fa quello che avrei voluto fare io”. Nient’altro che la messa in riga di un’Italia recalcitrante alla normalizzazione “aretina”, predisposta in ambienti massonici ispirati dalla P2 del Maestro Venerabile Licio Gelli (e del suo piano di “Rinascita democratica”): mettere la mordacchia a sindacati e giornali, promuovere una decimazione delle sedi democratiche per l’imposizione di un autoritarismo soft.

Il fatto è che questi cuculi-umani, colonizzatori sottotraccia, sono abilissimi nel virare a proprio vantaggio le debolezze dell’ambiente in cui depongono le loro uova metaforiche. Tanto per dire, mai e poi mai il personale PD arriverà al punto di rompere con chi – tutto sommato – assicura rielezioni con relative prebende; così da finire per subirne con qualche mugugno le prepotenze e l’opera devastativa di una tradizionale posizione politica. Tanto per dire, buona parte del sindacato viene ormai vissuta dalla pubblica opinione come un agente di conservazione delle bardature burocratiche, così da indebolirne la credibilità quando si tratta di contrastare l’attacco ai diritti del lavoro (simboleggiati da quell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, ormai trasformato in puro simbolo); così come la colonizzazione clientelare del pubblico impiego rende problematico presentarlo come una frontiera di efficienza/efficacia e senso del dovere generalizzato.

Insomma, l’infiltrato coglie tutte le debolezze dell’ambiente in cui opera; ferma restando l’inquietante natura (e relative attese) di chi lo ha messo in pista per la sua missione “coperta”.

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