L’Antitrust ha chiesto ai principali operatori di telefonia cinque milioni di euro dopo una valanga di segnalazioni da parte dei consumatori per i servizi premium non richiesti che erodono il credito di nascosto
Navigare con il cellulare su contenuti a pagamento non segnalati, sfiorare un banner pubblicitario e ritrovarsi abbonati a servizi di suonerie, screensaver, contenuti erotici o giochi dal costo minimo di 5 euro a settimana, oppure scaricare un’app solo perché si è cercato di chiudere la finestra premendo un apposito tasto di chiusura. Eccoli i cosiddetti servizi premium, ovvero la galassia di prodotti che vengono pubblicizzati attraverso banner, pop up e landing page, che i principali operatori della rete mobile del Paese hanno attivato all’insaputa di migliaia di clienti e che l’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato ha deciso di punire con una maxi sanzione di 5 milioni di euro.
In particolare, l’Agcm ha imposto una multa di 1,7 milioni di euro a Telecom Italia e H3G e di 800mila euro a Wind e Vodafone, per aver adottato queste pratiche commerciali scorrette nell’erogazione dei contenuti sugli smartphone. Decisione che arriva a 7 mesi dall’apertura di un’indagine nata dopo che il garante ha ricevuto numerosissime segnalazioni da parte di associazioni di consumatori e clienti che denunciavano di essersi ritrovati abbonati a servizi mai richiesti con l’addebito automatico del costo sulla bolletta telefonica o scalato dal credito residuo.
Due le condotte scorrette che l’autorità ha in particolare accertato da parte dei quattro operatori: il nodo del blocco selettivo e la condotta aggressiva.
Telecom, H3G, Wind e Vodafone non hanno, infatti, mai spiegato chiaramente che l’attivazione di questi servizi aveva un sovrapprezzo e che era possibile attivare un blocco selettivo per impedirne la ricezione. Tanto che i consumatori hanno sempre denunciato di aver scoperto troppo tardi di aver superato le soglie previste dal proprio piano tariffario navigando su contenuti a pagamento non segnalati. Poi, ha sempre spiegato l’Antitrust, gli operatori hanno adottato un comportamento aggressivo, dal momento che la procedura di attivazione si è praticamente rivelata automatica, in assenza di qualsiasi autorizzazione da parte del cliente.
Del resto, il mercato dei cosiddetti servizi premium che vale quasi 1 miliardo di euro, è uno dei più proficui per gli operatori delle telecomunicazioni. Soldi facili, insomma, visto che – sottolinea l’Agcm – “gli operatori condividono con i fornitori i ricavi dei servizi erogati, trattenendone un’elevata percentuale. E, inoltre, si sono dimostrati ampiamente consapevoli circa la sussistenza di attivazioni e di addebiti relativi a servizi non richiesti da parte dei propri clienti mobili”.
Ora, entro due mesi, gli operatori sono chiamati a comunicare all’Antitrust le modalità con cui intendono rimediare al problema. Alcuni di loro, negli ultimi mesi, hanno in effetti attivato ulteriori sistemi di controllo ma, a quanto risulta al garante, non sempre sono riusciti a contrastare le truffe e a tutelare gli utenti. Inoltre, se gli operatori decideranmo di ricorrere al Tar del Lazio, la querelle potrebbe dilatarsi nei tempi, allungando soprattutto la procedura di richiesta di rimborso, così come denunciano le associazioni dei consumatori.
Anche perché, come sostengono Federconsumatori e Adusbef, “la pronuncia dell’Antitrust apre le porte alla possibilità di poter avviare tutte le procedure per avere la restituzione delle somme fino ad oggi indebitamente versate dagli utenti, prima fra tutte l’ipotesi di una class action”. “Quello che troviamo gravissimo – dice invece Movimento Consumatori – è che non è pensabile che queste aziende non fossero consapevoli dell’illegittimità del proprio comportamento. È doveroso che i gestori chiedano scusa ai consumatori e si impegnino a trovare al più presto le modalità per restituire quanto illegittimamente addebitato”.
Cosa fare nel frattempo per difendersi?
In attesa che si apra un tavolo tra gli operatori di telefonia e le associazioni dei consumatori, la prima cosa da fare è contattare il gestore, inviando un reclamo scritto (tramite fax, internet o raccomandata con ricevuta di ritorno) per contestare le somme ingiustamente addebitate e richiedere il rimborso, dichiarando esplicitamente di non aver mai richiesto l’abbonamento. Dal momento che in alcuni casi l’attivazione del servizio non richiesto è avvenuta tramite un sms, è anche necessario inviare la richiesta di blocco non solo all’operatore telefonico, ma anche all’azienda che eroga il servizio.
È anche possibile chiedere il “barring”, vale a dire il blocco di tutti gli sms a sovrapprezzo, facendo tuttavia attenzione a tenere attivi quelli utili, come i messaggi che arrivano dalla banca per notificare l’utilizzo della carta di credito o l’invio di un bonifico. Sempre utile, poi, installare un antivirus sul cellulare e un’app che blocca la pubblicità sul telefono.
Per la richiesta di rimborso si deve passare per il Corecom che si occupa del contenzioso tra utenti e gestori dei servizi di telecomunicazioni. Il tentativo di conciliazione è un servizio gratuito, di facile accesso e che garantisce in tempi rapidi la definizione della controversia. Dal momento che rappresenta il passaggio antecedente alla denuncia che va fatta all’Autority, solitamente i gestori decidono di accettare la concilazione per evitare poi l’apertura di un’indagine. Il motivo è chiaro: davanti al garante, il gestore telefonico deve dare prova della conclusione del contratto portando il contratto firmato o, comunque, riproducendo la registrazione integrale della telefonata di accettazione. Prove che, secondo quanto sostiene il garante, non esistono.