Un’associazione islamica accusata di estremismo potrebbe costruire la moschea a Milano. Si chiama Millî Görüş, “Punto di vista nazionale” in turco. Fa parte del Coordinamento delle associazioni islamiche di Milano Monza Brianza (Caim). “Sono accuse false, siamo in Italia dal 1987”, replicano a ilfattoquotidiano.it gli interessati. Dopo la strage di Parigi, la questione moschea è sempre più scottante, tra accuse più o meno documentate e lo storico problema mai risolto delle associazioni islamiche nel mondo: la trasparenza dei conti. I candidati più credibili sono tre: Caim, Casa della cultura islamica di via Padova e Comunità religiosa islamica italiana (Coreis italiana). Una di queste, probabilmente, si aggiudicherà lo spazio per costruire la moschea di Milano.

Millî Görüş, fondata in Turchia dal primo premier islamista del Paese. Dambruoso: “Parli il ministro dell’Interno”

Tre quelli messi a disposizione dal Comune di Milano con un bando datato 30 dicembre 2014, di cui uno almeno per i 100mila fedeli che abitano nel capoluogo lombardo. A giugno, Palazzo Marino aveva cercato di trovare una proposta unitaria per la realizzazione di una moschea in tempo per Expo. Operazione fallita: la comunità musulmana s’è spaccata. Da una parte sta la Coreis, comunità soprattutto composta da italiani che ha dalla fine degli anni Novanta una piccola sala di preghiera in via Meda a Milano. Sono in maggioranza italiani convertiti, vicini alla dottrina sufi, una visione dell’Islam “spirituale”, staccata dalla politica. In mezzo, la Casa della cultura islamica, il cui presidente è l’architetto giordano Asfa Mahmoud, insignito del premio per il valore civico Ambrogino d’oro nel 2009. Quando a marzo 2014 il Comune aveva ipotizzato un finanziamento della Giordania per realizzare la moschea, sarebbe stato proprio Mahmoud il tramite. Dall’altra parte sta il Caim, un network che tiene insieme 25 associazioni tra Milano e Monza. “Un gruppo dall’ideologia problematica”, sostiene l’esperto in terrorismo islamico dell’Ispi Lorenzo Vidino, che in un’intervista a ilfattoquotidiano.it aveva segnalato il rischio che la futura moschea di Milano possa essere affidata a organizzazioni radicali. Dopo i fatti di Parigi, l’ex magistrato Stefano Dambruoso, oggi deputato di Scelta civica, ha ricordato che due associazioni che ne fanno parte, la turca Millî Görüş e Alleanza islamica d’Italia, sono state inserite in due “black list” in Germania ed Emirati arabi uniti. Il motivo? “Chiedo che sia il nostro ministero dell’Interno a spiegarlo”, dice ora Dambruoso.

MILLI GORUS E LE ACCUSE IN GERMANIA. Millî Görüş, in turco “Punto di vista nazionale”, farà parte della società di scopo con cui il Caim si presenta al bando per la moschea di Milano, insieme ad altre associazioni. L’organizzazione turca è in Italia dal 1987. Ha sedi sparse in tutto il mondo (soprattutto in Germania) e conta 127mila iscritti. Nel 2004 il Ministero dell’Interno tedesco, principale fonte dell’allarme di Stefano Dambruoso, li etichetta come “estremisti”, anche se nell’ultimo rapporto di fine anno del ministero non ci sono accenni su indagini nei loro confronti. Sei dirigenti dell’organizzazione tedesca, che conta da sola 60mila iscritti, nel 2010 sono stati accusati e poi prosciolti per frode, riciclaggio e supporto di associazioni terroristiche. In 19 mesi l’inchiesta tedesca non ha prodotto alcun risultato. Il professore di Islamistica dell’università Cattolica di Milano Paolo Branca li definisce “ipernazionalisti”. Il loro fondatore Necmettin Erbakan era un leader politico e spirituale, ostile all’occidentalizzazione della Turchia. Fu il primo premier islamista in Turchia (’96-’97) e sotto di lui crebbe l’influenza politica dell’attuale presidente Recep Tayyip Erdoğan. “Non c’entra niente la politica con noi. Siamo un’associazione che lavora per il bene di tutti, non solo nostro”, replica Ozman Duran, presidente di Millî Görüş Italia. Dal marzo 2013 hanno in costruzione una sala di preghiera in via Maderna, ferma perché mancano i permessi per trasformare l’area in un luogo di culto. “Esistiamo dal 1969, perché ci accusano proprio adesso di essere estremisti?”, si domanda il referente di Milano, Derviş Bozyel, gestore di un negozio di kebab del capoluogo lombardo.

Il Caim ha aderito al bando del Comune per la moschea. Ne fa parte l’Alleanza islamica, finita in black list negli Emirati arabi. Perché? “Chiedetelo a loro”

ALLEANZA ISLAMICA, NELLA LISTA NERA DEGLI EMIRATI. L’Alleanza islamica d’Italia ha sede in viale Monza 50, come il Caim. È un’associazione culturale, non ha mai avuto luoghi di preghiera. A novembre è stata inserita dagli Emirati arabi uniti in una lista nera di associazioni bandite. Insieme a Isis, Al Qaeda, Ansar al-Sharia per la Libia, Ansar per il Libano e Boko Haram per la Nigeria. “Non abbiamo la minima idea del motivo per il quale gli Emirati Arabi Uniti ci hanno inserito nella lista di associazioni terroristiche. Chiedetelo a loro”, dice il presidente Mohamed Ibrahin.

CAIM, UCOII E LA FRATELLANZA. Ibrahim è anche tesoriere dell’Ucoii, l’Unione delle comunità islamiche d’Italia. Presidente dell’associazione è Izzedin Elzir, imam di Firenze, e membro del direttivo Roberto Hamza Piccardo, padre del coordinatore del Caim Davide. Fondato nel 1990 ad Ancona, l’Ucoii ha avuto come presidente Mohamed Nour Dachan, oggetto di più interrogazioni parlamentari a firma dell’allora onorevole di centrodestra Souad Sbai per la sua supposta vicinanza alla Fratellanza musulmana. Sempre negata dal Nour Dachan, che ha querelato giornalisti e parlamentari che gliela hanno attribuita. La vicinanza ideologica ai Fratelli musulmani è il motivo per cui Vidino reputa che “non sia una situazione ideale” per il Comune di Milano “dare un pulpito ad un’associazione che ha questo track record”, questo passato. Alla moschea di Cascina Gobba, altro centro del Caim, è intervenuto in un discorso intitolato “Qual è il vero successo?” il 5 agosto 2012 Musa Cerantonio, all’epoca un perfetto sconosciuto, poi diventato un reclutatore di jihadisti in rete. “Non aveva ancora espresso posizioni estremiste, non potevamo prevederlo”, replica Davide Piccardo, coordinatore del Caim. Al di là dell’essere un punto di riferimento per la preghiera, il Caim è stato protagonista di molto altro in questi anni. L’associazione dei Giovani Musulmani d’Italia, formata tutta da volontari, ha aiutato il Comune di Milano nell’accoglienza dei profughi siriani arrivata alla stazione Centrale, ha donato tramite l’ong Islamic relief 10 mila euro ai terremotati dell’Emilia, è stato tra gli organizzatori della manifestazione contro islamofobia e terrorismo a Milano di sabato 10 gennaio, dopo la strage di Charlie Hebdo. Ma ai detrattori non questo non basta.

Il legale esperto di mondo arabo: “I finanziamenti di queste organizzazioni non sono tracciabili”

I FINANZIAMENTI: UN BUCO NERO. “Non c’è nessuna possibilità di tracciare i finanziamenti: le associazioni islamiche possono ricevere donazioni da chiunque”, avverte però Paolo Greco, avvocato della P&A Legal, studio specializzato nei rapporti tra aziende italiane e mondo arabo. Greco sottolinea che la poca trasparenza (nessuno pubblica i bilanci) sia da sempre un problema di tutti, ma che l’universo dell’Ucoii “è sempre stato il più chiacchierato” nell’Islam italiano. Le associazioni islamiche di solito sono sostenute dalla zaqat, che è la tassa versata dai membri della comunità una volta l’anno, e dalle wafq, il corrispettivo delle nostre fondazioni. Le più grandi sono sponsorizzate dai Paesi del Golfo: Emirati Arabi Uniti, Qatar, Kuwait. “Queste sono le vie ufficiali. Il rischio è che poi ci siano altre strade che portano anche ad organizzazioni criminali e terroristiche, ma questo nessuno può dirlo, sono solo sospetti”. Secondo Greco, lo scontro per aggiudicarsi la moschea a Milano, ” è un conflitto interno, tra visioni diverse dell’Islam”. Un tassello di una guerra molto più grande.

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