Sembra finzione, ma è pura realtà
Credi che il realismo dei videogame abbia toccato livelli inimmaginabili nella definizione dei personaggi, ma quando vedi eroi digitali più veri dei veri superare con una agilità disarmante ostacoli incredibili, ai limite dell’insormontabilità, finisci per ricrederti e torni a pensare che il mondo virtuale, altissima definizione a parte, sia ancora molto lontano dal mondo reale. Le immagini che ti scorrono davanti non sono però quelle dell’open world di Assassin’s Creed, e non c’è nessuno specifico pulsante da cliccare per far arrampicare dei ragazzi su un muro quasi verticale. Stai semplicemente guardando un video di presentazione del parkour, una disciplina sportiva nata in Francia nei primi anni Novanta e divenuta oggi un punto di riferimento per tantissimi giovani sparsi per i cinque continenti (vanta perfino un’enciclopedia digitale dedicata).
Le origini lontane
Il parkour ha molto da spartire con la méthode naturelle messa a punto dall’ufficiale della marina francese Georges Hébert nei suoi studi d’inizio Novecento, su corpi e movimenti degli antillani dell’isola di Martinica e di varie popolazioni africane. La ricerca di Hébert aveva individuato dieci principali modalità di movimento corporeo da promuovere per favorire lo sviluppo di persone gagliarde e ben temprate: l’arrampicata (grimper), la camminata (marche), la camminata a quattro zampe (quadrupédie), la camminata in equilibrio (équilibre), la corsa (course), la difesa (défense), il lancio (lancer), il nuoto (natation), il salto (saut), il sollevamento (lever). Di qui l’individuazione di tre principali forze alla base di un sistema corporeo degno di questo nome: una forza virile (o energetica), una forza morale, una forza fisica. Ne derivò il motto per eccellenza dell’hebertismo: “Essere forti per essere utili”.
Video facilmente reperibili in rete dimostrano una somiglianza straordinaria tra il parkour e la “ginnastica naturale” di Hébert, tradito solo dalle fattezze dell’abbigliamento. E altri tricks (o moves) del parkour hanno più d’un precedente nella filmografia muta.
Parenti e ascendenti prossimi
Le radici del parkour vanno ricercate a Lisses, piccola cittadina dell’Île-de-France che è anche il paese natale degli inventori della disciplina: David Belle e suo padre Raymond, un vigile del fuoco addestrato con il metodo di Hebert. Il termine parkour fu inventato da David e dall’attore e regista Hubert Koundé. Nel 1998 i due sostituirono la “c” con la “k” nella parola parcours (‘percorso’) per renderla più fresca, dinamica, accattivante; per lo stesso motivo fu fatta sparire la “s” finale (muta).
Come il più recente balconing, rispetto al quale è un po’ meno pericoloso, il parkour piega gli ambienti metropolitani – ma anche quelli naturali – a scopi sportivi e acrobatici. Gli appassionati di parkour li percorrono in orizzontale o talora in verticale (scavalcano muretti, salgono e scendono scale, schizzano da una parete all’altra, ecc.), quelli di balconing, quando non saltano da un balcone all’altro, li sfidano rigorosamente in verticale, come si gettassero dalla scogliera di Quebrada ad Acapulco (ma finendo, se gli va bene, in una piscina condominiale). Il balconing è nato alle Baleari, forse a Ibiza, e la parola è inglese. Anche parkour, sebbene sia debitore del francese parcours (du combattant), sembra il frutto di un’operazione di maquillage suggerita dall’inglese. E un’espressione inglese è pure quella indicante un altro parente prossimo del parkour: il free running. Qui si punta però alla bellezza, anziché all’efficienza, delle varie acrobazie. Magari ci torniamo.
Massimo Arcangeli e Sandro Mariani