La Suprema Corte ha sdoganato il termine utilizzato per anni da Silvio Berlusconi per attaccare i magistrati e ha così bocciato il ricorso di un magistrato siciliano che si era sentito diffamato nelle pagine di un libro
Per anni è stato il termine “preferito” da Silvio Berlusconi per etichettare i magistrati che lo “perseguitavano”. Ma “toga rossa” – secondo la Cassazione – non è un’espressione offensiva. Anzi, in certi casi può essere addirittura un elogio. Almeno quando si dà della “toga rossa” a qualche magistrato nei confronti del quale si vuole enfatizzare la “coscienza fiera”. Ecco perché la Suprema Corte ha bocciato il ricorso del magistrato siciliano, Lorenzo Matassa, che si era sentito diffamato nelle pagine di un libro edito da Baldini e Castoldi di Giorgio Galli, dal titolo “Piombo rosso – la storia completa della lotta armata in Italia dal 1970 ad oggi”.
In particolare, nel volume – ricostruisce la sentenza 1434 – si fa riferimento al magistrato sostenendo che “il pm – che poi ha querelato – era una toga rossa, proprio di Palermo, di quelle particolarmente sgradite al presidente del Consiglio (Silvio Berlusconi, ndr) e ai suoi giornali”. Se in primo grado il magistrato aveva ottenuto un risarcimento di 5 mila euro perché il giudice aveva reputato diffamatoria l’espressione “toga rossa”, in appello la Corte di Milano (luglio 2010) glielo ha negato.
Nel dettaglio, i giudici di secondo grado – giudizio al quale si è allineata la Cassazione oggi – avevano evidenziato che “la censurata espressione di ‘toga rossa’ presa nel contesto di un’ampia trattazione sul periodo dei cosiddetti ‘anni di piombo’ non risultava usata in tono denigratorio e dispregiativo, bensì in senso positivo, ossia per indicare l’atteggiamento di un magistrato inquirente che non si ferma alle apparenze e che gode di una ‘coscienza tranquillamente fiera’”.
Inoltre, la Cassazione ha ricordato ancora che, secondo la Corte d’appello, l’espressione “toghe rosse” “presa nel contesto di un’ampia trattazione sul periodo dei cosiddetti ‘anni di piombo‘, non risultava usata in tono denigratorio o dispregiativo – come sosteneva il magistrato – bensì piuttosto in senso positivo, ossia per indicare l’atteggiamento di un magistrato inquirente che non si ferma alle apparenze e che gode di ‘una coscienza tranquillamente fiera’”.