Da quindici anni si celebra il 27 gennaio il Giorno della Memoria e questo significa anche cercare di farlo ogni volta in modo nuovo perché non sia semplice reiterazione che scada nella banalità della ripetizione perdendo forza di significato specie nei confronti dei più piccoli.

copPossiamo quindi cercare di raccontare quel che è stato attraverso dei punti di vista originali che incuriosiscano e insieme siano di impatto per i lettori più giovani. Se da un lato è possibile recuperare una memoria diretta con la lettura de Il bambino di Schindler, edito lo scorso anno da Mondadori, dove Leon Leyson testimonia la sua vicenda umana in un testo praticamente perfetto per la lettura ad alta voce, che tiene alta la tensione e rende chi ascolta partecipe agli avvenimenti che gli si dipanano davanti agli occhi, è anche possibile trovare delle storie che mettono in luce angoli meno noti della Shoah.

Vicende forse meno note fino a qualche tempo fa, prima che notizie sui giornali e sceneggiaticop (1) in tv li riportassero alla luce, come l’impegno silenzioso di Gino Bartali che pedalava trasportando documenti falsi che potevano salvare la vita a molti ebrei; lo raccontano addirittura due libri editi da poco, adatti ai ragazzi dai 10 anni in su: La corsa giusta, scritto da Antonio Ferrara e illustrato da Sandro Natalini (Coccole Books) e La bicicletta di Bartali di cop (2)Simone Dini Gandini, con le illustrazioni di Roberto Lauciello (Notes).

Non hanno nome invece coloro che salvarono gli ebrei in fuga dai nazisti nel 1943 a Gilleleje, piccolo porto danese da cui presero la via di fuga sul mare circa 1.700 persone; non hanno nomi singoli perché fu – come in tanti altri casi – l‘intero villaggio a custodire il segreto e a guidarli a bassa voce verso il porto: un episodio magistralmente ricordato in un albo che rivela anche ai più piccoli la storia de La città che cop (3)sussurrò (di Jennifer Elvgren e Fabio Santomauro, edito da Giuntina). I colori che si inseguono sulle pagine sono scuri e cupi quanto la notte della ragione che avvolgeva l’Europa in quel momento e a farsi strada nel buio della notte sono appunto le voci di coloro che tessono le indicazioni fino a farne in qualche modo luce, tutti complici, tutti a cospirare insieme, dove questo verbo assume davvero il significato di accordare il proprio respiro a quello del vicino perché diventi forte e utile. Una lettura per ricordare chi ci mise la faccia e il coraggio, per fare memoria dei tanti che  cop (4)aiutarono semplicemente perché era ciò che in quel momento potevano fare e spesso rimasero anonimi: esattamente come la donna che raccolse la neonata gettata dal treno incorsa verso i campi di concentramento; La storia di Erika è un altro albo che potete sfogliare e leggere ad alta voce: poche frasi, le parole sufficienti ed essenziali di Ruth Vander Zee unite alle illustrazioni di Roberto Innocenti (La Margherita).

O ancora una storia nella storia: quella di Janus Korczak e dei bambini del suoorfanotrofio, che non abbandonò mai, rimanendo con loro nel ghetto di Varsavia e poi nel viaggio verso Treblinka. Si intitola appunto L’ultimo viaggio il libro cop (5)edito da Orecchio Acerbo, con il testo di Irène Cohen-Janca e le illustrazioni evocative di Maurizio A.C. Quarello, che affida il racconto di quella figura e di quell’esperienza all’adolescente Simone che spiega al piccolo Mietek la Repubblica dei bambini, il teatro, le letture, le vacanze.

Se infine volete proporre una lettura ad alta voce, breve e toccante, che parli anche della fatica di chi dai campi di concentramento è tornato, andate in biblioteca e cercate sugli scaffali uno dei tanti racconti che parlano di Olocausto e leggi razziali: I fiori della tempesta di Claudio Cavalli (illustrazioni di Cinzia Cavallaro & Valentina Martegani, edito nel 2007 da Città aperta junior e non più in commercio) dice di come prendersi cura di un seme e dei fiori che ne nascono possa tenere aggrappati alla vita; di come un seme – appunto – di bellezza possa comunque avere senso e illuminare lo sguardo di qualcuno anche in mezzo all’orrore più indescrivibile. Parla del dopo, di chi fece fatica a tornare, di chi fece fatica a capire e ad accettare. Parla di come la vita continui e la memoria si costruisca e poi si debba mantenere viva, come i fiori di verbena che danno il titolo al libro. E, come per essi, averne cura.

di Caterina Ramonda

→  Sostieni l’informazione libera: Abbonati rinnova il tuo abbonamento al Fatto Quotidiano

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Terrorismo: ‘Colpo alla nuca’ di Lenci insegna ancora molto

next
Articolo Successivo

Giornata della memoria, Eichmann e Lakatos: boia separati alla nascita

next