La narrazione giornalistica delle “omeriche gesta” di Matteo Renzi abita, ormai, le prossimità dell’apologetica, al netto di alcune pregevoli eccezioni. Nulla di inedito, stante la tradizionale vocazione maggiordomica della stampa italica, la quale, da sempre, sfiora vette titaniche quando si tratta di blandire il potere politico. Il caso di specie, però, denota alcune interessanti peculiarità, in relazione al recentissimo passato.
Fino a qualche tempo fa, infatti, l’anemico e languido bipolarismo nostrano, dai labili confini di demarcazione tra i due schieramenti di maggioranza e opposizione, si è lasciato soppiantare da quello, corroborato e maschio, dei rispettivi media di spettanza. Pro o contro Berlusconi, pro o contro il suo antagonista di turno. La stampa d’area, insomma, si è incaricata, sin qui, di confliggere, in luogo degli attori del proscenio partitico, strictu sensu. Senonché, le intervenute dilatatissime intese hanno prodotto, sul piano del racconto di giornali e tv, il culto totemico di Matteo, in trasversale geografia. La strategia, poco raffinata e per nulla chirurgica, rischia di assottigliare, ulteriormente, il perimetro di mercato afferente alle testate di opposta osservanza politica che, in tal guisa, disattendono le aspettative dei loro stessi lettori. Per intenderci: l’offerta giornalistica, scarsamente stratificata, pressoché sovrapponibile, riduce l’attenzione, conquistata in precedenza dai diversi media, grazie alle differenze. E’ lo scotto che esige la ruvida arte del riposizionamento.
Il trend nazionale non si smentisce alle latitudini di certa editoria locale che, a sud e, segnatamente, nelle regioni appaltate al centrosinistra (vedi la Calabria), non deve superare nemmeno la dogana dello sdegno di un’opinione pubblica sonnolenta e flaccida. Inibita dalla cultura del bisogno. I riposizionamenti, qui, sono più repentini che altrove. Del resto, da queste parti, la politica crea il prodotto interno lordo, elargendo prebende, posti di lavoro e soldi pubblici. I governi regionali riservano, da sempre, particolare “amorevolezza” a televisioni e carta stampata, rozzamente compiacenti.
D’altro canto, il tessuto produttivo particolarmente esangue impedisce all’imprenditoria privata di affrancarsi dal maledetto giogo del Palazzo. Funziona così: buono d’ordine e, poi, fattura. La cronaca benevola va in scena. C’è da sperare, solo, che i narratori siano di finissima grana. Soprattutto se si tratta di spiegare al popolo che nella neonata Giunta Regionale calabra, oltre alla derubricata ministra Lanzetta, c’è un assessore, coinvolto in una delicata inchiesta perché avrebbe beneficiato, nel 2010, del consenso elettorale di un blasonata famiglia di ‘ndrangheta.