Pene da 250 euro di multa ai 4 anni e mezzo di reclusione. Dal pubblico si è levato grida come "Vergogna" e "Liberi tutti" poi alcune persone, tra cui gli imputati, hanno intonato "Bella ciao"
Quarantasette condanne per un totale di circa 140 anni di carcere e sei assoluzioni. Si è chiuso così a Torino il maxi processo ai no tav per gli scontri del 2011 in Valle di Susa. La sentenza è stata letta dal giudice Quinto Bosio nell’aula bunker delle Vallette. Le pene variano da una multa di 250 euro a un massimo di quattro anni e mezzo di reclusione. Subito dopo la lettura del dispositivo gli imputati hanno cominciato a leggere una dichiarazione ma i giudici si sono allontanati senza ascoltare. Dal pubblico si sono levate le grida “vergogna”, “liberi tutti” e “ora e sempre resistenza”, poi i presenti hanno cominciato ad intonare la canzone “Bella Ciao”. Un gruppo di attivisti ha anche improvvisato un blocco stradale sulla via che, costeggiando l’aula bunker, si immette sulla tangenziale. “Questo – ha urlato un imputato – è un processo politico. Non ci seppellirete con queste condanne”. I reati contestati a vario titolo sono violenza e resistenza a pubblico ufficiale, danneggiamento e lesioni. Gli scontri avvennero il 27 giugno e il primo luglio del 2011. Furono centinaia i feriti tra manifestanti e forze dell’ordine, che si fronteggiarono per ore lanciando pietre e bombe carta da una parte e lacrimogeni dall’altra. “Questa sentenza sa più di vendetta che di giustizia” ha detto Alberto Perino, leader storico del movimento No Tav. “Si tratta – ha aggiunto – del fallimento della politica e dell’estremo tentativo di fare fuori il movimento No Tav, ma non ci riusciranno”.
Gli avvocati difensori hanno annunciato ricorso: “Questa sentenza infligge condanne spropositate e riconosce provvisionali assurde in totale assenza di prove” commenta Gianluca Vitale, uno dei legali. Si tratta – aggiunge il collega Roberto Lamacchia – di una sentenza già scritta e immaginabile. L’entità delle pene non ha alcun senso”. Il legale di parte civile Anna Ronfani che rappresenta Ltf, la società che si occupa della Torino-Lione: “Non sono state condannate le opinioni, ma le manifestazioni di dissenso che hanno travalicato i confini del lecito. Lo dimostra lo stesso dispositivo dei giudici, lungo e articolato. Per leggerlo ci è voluta un’ora. Significa che le singole posizioni degli imputati sono state vagliate con estrema cura e, evidentemente, con grande sforzo in camera di consiglio”.
Il collegio ha accolto quasi integralmente le richieste della procura di Torino e ha stabilito che i condannati dovranno risarcire – stabilendo provvisionali per circa 150mila euro – quasi tutti i poliziotti feriti durante gli scontri, i ministeri dell’Interno, della Difesa e dell’Economia, più i sindacati di polizia Sap, Siulp e Ugl. “Ci sentiamo uniti nella lotta con Chiara, Alberto, Niccolò, Mattia, Graziano, Lucio e Francesco – hanno detto alla fine della sentenza ricordando gli anarchici coinvolti nel blitz notturno del 14 maggio 2013 – Ora e sempre resistenza. Giù le mani dalla Val Susa”. “Condanne sproporzionate”, affermano alcuni avvocati. Le condanne più dure per i principali imputati: Giorgio Rossetto, leader del centro sociale Askatasuna di Torino, ha ottenuto una pena di 4 anni e 4 mesi, più bassa rispetto alle richieste dei pm Manuela Pedrotta e Nicoletta Quaglino. Quattro anni e sei mesi a Paolo Maurizio Ferrari, l’ex Br coinvolto negli scontri.
Gli scontri
La notte tra il 26 e il 27 giugno 2011 migliaia di sostenitori della causa No Tav – non solo valsusini, ma anche simpatizzanti da tutta Italia -si radunano intorno alla “Libera repubblica della Maddalena” (Chiomonte) per opporsi all’arrivo delle ruspe e delle forze dell’ordine che dovevano prendere il controllo dell’area prima del 30 giugno, altrimenti l’Italia avrebbe perso una parte di finanziamenti. Dalla loro opposizione nascono gli scontri con gli agenti, scontri che si replicano in maniera più dura il 3 luglio quando, al termine di una marcia, dei gruppi si distaccano per andare ad “assediare” l’area del cantiere. Per questi fatti il 26 gennaio 2012 la Digos arresta 26 persone, indagate insieme ad altre di lesioni, violenza, resistenza a pubblico ufficiale. Per il gip Federica Bompieri si trattava di un’azione “concertata, organizzata e, sul posto, addirittura coordinata”. Oltre a persone legate ai centri sociali, in particolare all’Askatasuna di Torino e il suo leader Giorgio Rossetto, ci sono un ex brigatista come Paolo Maurizio Milani, ma anche alcuni esponenti “politici” presenti alle manifestazioni come Guido Fissore, consigliere comunale valsusino, e Andrea Vitali, responsabile organizzativo di Rifondazione.
Il processo
Le detenzioni non calmano però l’animo dei No Tav e neanche il processo ci riesce. Così alla prima udienza al tribunale di Torino il presidente del collegio Quinto Bosio decide di proseguire il processo nell’aula bunker del carcere per motivi di sicurezza. Lì si tengono quasi 200 udienze, con cadenza plurisettimanale, udienze nelle quali i sostituti procuratori e gli avvocati del “Legal team” giocano tutte le carte a disposizioni e battibeccano anche. Ai militanti No Tav però non basta il clima “blindato” dell’aula e per questo nel corso del processo il presidente del collegio deve chiudere le udienze al pubblico o far allontanare chi protesta.
Agli inizi di ottobre la procura chiede condanne tra i 6 mesi e i 6 anni, per un totale di 193 anni. La pm Manuela Pedrotta afferma che l’unica vera occupazione avvenuta non è quella dei mezzi delle forze dell’ordine, ma quella della Libera Repubblica della Maddalena. Per la collega Nicoletta Quaglino invece quelle dell’estate 2011 non erano proteste simboliche: “Di solito i gesti simbolici sono rivolti verso se stessi, non verso gli altri: Jan Palach si diede fuoco in piazza San Venceslao per protesta, mica diede fuoco alle truppe russe”. Una ricostruzione condivisa dai giudici del tribunale.