Il consigliere comunale di Torino dell'area Udc fu ferito a colpi di pistola nel marzo 2012: morì dopo 7 mesi di agonia. Ritenuto unico responsabile il ragioniere che, secondo la tesi della Procura, pretendeva favori dalla vittima
Ergastolo per Francesco Furchì, l’uomo accusato dell’omicidio del consigliere comunale torinese Alberto Musy. Questa la sentenza della Corte di Assise di Torino. Musy venne ferito a colpi di pistola il 21 marzo 2012 nell’androne di casa e morì dopo 7 mesi di agonia. La Corte d’assise, presieduta da Pietro Capello, ha ritenuto colpevole Furchì, 51 anni, ragioniere di origine calabrese, uomo dai mille interessi e dai mille agganci. L’uomo ha ascoltato il verdetto in maniera composta, scuotendo leggermente la testa: “Sono innocente, è un’ingiustizia”, ha detto uscendo dall’aula scortato dagli agenti della polizia penitenziaria. Contenti i familiari: “Abbiamo sempre avuto fiducia – ha detto la vedova Angelica Corporandi d’Auvare -, si era capito dal lavoro degli inquirenti che c’erano le basi”. Nei confronti di Furchì il pubblico ministero Roberto Furlan aveva chiesto la pena più severa, l’ergastolo con l’isolamento diurno. Secondo la Procura, infatti, Furchì era l’unico sospetto rimasto al termine di un’indagine a 360 gradi. Un sospetto che, nel corso del processo, si è consolidato con altri indizi riscontrati, come il ruolo di un amico che avrebbe nascosto una pistola dell’imputato e le dichiarazioni fatte e poi riportate dal suo compagno di cella, un sedicente collaboratore dei servizi segreti in carcere per furti e ricettazioni. Fino all’ultimo il ragioniere ha cercato di allontanare le accuse: “Credo che il pm Furlan – aveva detto – mi voglia cucire addosso l’abito del killer, senza ago e filo. Voi non potete condannare una persona innocente”.
Il 30 gennaio 2013 Francesco Furchì era stato fermato dalla polizia di Torino al termine di un interrogatorio. Persona informata sui fatti, era stato chiamato in questura dalla sezione omicidi guidata di Luigi Mitola, che indagava sull’agguato, e aveva dato risposte poco convincenti alle domande. Così è finito sotto indagine per tentato omicidio aggravato dalla premeditazione e dai motivi abbietti, accusa con la quale era cominciato il processo. Diciotto mesi dopo, durante un’udienza del processo per tentato omicidio, è arrivata la notizia del decesso di Musy: accusa da cambiare in omicidio volontario e processo da rifare in Corte d’assise.
Tre erano i moventi individuati dagli investigatori: tre ragioni per cui Furchì era arrabbiato con Musy. Il primo era di tipo politico. L’avvocato era il candidato di “Alleanza per la città” (Udc e Fli) alle elezioni amministrative del 2011 e Furchì era stato un candidato per lo stesso movimento, aveva promesso voti in cambio di ruoli, ma l’elezione non era andata bene, ruoli da spartire non ce n’erano e quindi Furchì è rimasto senza incarichi, nonostante si aspettasse qualcosa. Il secondo movente sarebbe un aiuto chiesto per conto dell’ex ministro del Psi Salvatore Andò: Furchì aveva chiesto a Musy, nel suo ruolo di professore e componente di una commissione universitaria, di favorire il figlio del politico nella nomina a docente all’università di Palermo. Il terzo motivo era invece di tipo economico: l’imputato voleva rilevare l’Arenaways, piccola società di trasporti ferroviari fallita e aveva chiesto a Musy, civilista, di aiutarlo a trovare soci per fare una cordata di imprenditori, ma il progetto fallì. In questa vicenda erano coinvolte altre persone arrestate per estorsione il 18 luglio scorso.