Se avete prestato 100 euro a qualcuno, sappiate che il vostro debitore può dirvi: “Non ho intenzione di ridarteli, scusa ma ho deciso di mettermi in sintonia con lo spirito del tempo”. Dopo la vittoria di Syriza in Grecia, perfino sul sito di Bloomber-View è apparso un editoriale di Leonid Bershidski che celebrava “il potere delle grandi idee” di partiti come quello di Alexis Tsipras o di Marine Le Pen in Francia. Tipo: non ripagare i debiti. Lo dice anche Thomas Piketty che hanno ragione i debitori a lamentarsi. E qualche anno fa pure il Financial Times si rammaricava della scomparsa dei giubilei che condonavano i debiti: l’economia ha bisogno di momenti in cui tutto si azzera e si riparte da capo (per Piketty solo la Seconda guerra mondiale ha fermato la crescita della disuguaglianza).

In un paper pubblicato alcuni giorni fa sul sito dell’Istituto Studi di Politica Internazionale, l’economista Zsolt Darvas va in controtendenza: il Giappone ha un debito pari al 250 per cento del Pil e paga un tasso medio dello 0, 9 per cento, nessun problema. Ma perfino la Grecia sta meno peggio di come dicono: ha un debito alto, il 175 per cento del Pil, ma ogni anno paga di interessi 8, 7 miliardi che sono pari al 4,3 per cento del Pil. L’Italia destina al servizio del debito ogni anno il 4, 7 per cento della ricchezza prodotta, l’Irlanda il 4,1, il Portogallo il 5 (la Germania l’ 1, 9). Se togliamo gli interessi pagati alla Bce e alla Banca Nazionale Greca, che li retrocedono poi al governo, e consideriamo il fatto che per altri otto anni Atene non deve pagare niente al fondo salva Stati Efsf, la spesa per interessi della Grecia risulta pari al 2,6 per cento del Pil. Quasi la metà che per l’Italia.

In questi anni di crisi gli economisti più di sinistra, quelli che oggi chiedono il taglio del debito greco, ci hanno sempre spiegato che il problema non è lo stock dell’indebitamento ma la sua sostenibilità. Che richiede soprattutto una cosa: la crescita. La Grecia marcia al 2,9 per cento (previsione 2015), anche se è magra soddisfazione dopo una perdita del Pil di 25 punti dall’inizio della crisi. Ma l’Europa arranca, nella palude della stagnazione i prezzi iniziano a scendere (gran parte della responsabilità è però del petrolio basso): -0,2 per cento, l’ultimo dato annualizzato. E se l’inflazione diventa negativa, il debitore dovrà restituire più di quanto ha ricevuto. Morale: in un momento in cui le condizioni macroeconomiche avvantaggiano i creditori, si afferma l’idea che è giusto non pagare i debiti o pagarli con lo sconto.

Lo scontro frontale rischia di far dimenticare però che il problema più serio è la crescita, non gli interessi sul debito.

Twitter @stefanofeltri

Il Fatto Quotidiano, 28 gennaio 2015

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