La più antica competizione calcistica del mondo si conferma la più avvincente. Nata nel 1872, sedici anni prima del campionato inglese, e a lungo ritenuta più prestigiosa nonostante tutti i tentativi di privilegiare la Premier League delle televisioni e dei miliardi, la Fa Cup continua a emanare un fascino irraggiungibile. Nulla a che vedere con la derelitta Coppa Italia, nata male due volte nel 1922 e poi nel 1926 e istituita a cadenza annuale solo nel 1936, senza che il suo destino interessasse veramente a qualcuno. Nemmeno ora che regala un posto in Europa League alla vincente, grazie a una formula che privilegia le grandi squadre, che se poi non basta sono aiutate dagli arbitri come è successo settimana scorsa con Roma, Inter, Napoli e Fiorentina ai danni di Empoli, Sampdoria, Udinese e Atalanta.
Troppo facile sostenere che una formula come quella FA Cup – sorteggio integrale degli accoppiamenti e dei campi su cui giocare la partita secca, unica concessione alle grandi l’ingresso al terzo turno, da gennaio – sarebbe la salvezza della coppa italiana: 22mila spettatori nelle prime otto partite, alla media di neanche di 3mila a partita, qualcosa di più nel turno successivo grazie al tutto esaurito dello Juventus Stadium, ma a San Siro per Milan-Lazio erano 9mila scarsi. Troppo facile, e quindi improponibile. Perché vedere lo spettacolo del Manchester United che pareggia 0-0 sul campo del piccolo Cambridge United (quarta serie, tutti esauriti gli 8mila posti del minuscolo Abbey Stadium) o del Bradford City che vince 4-2 in trasferta a Stamford Bridge nell’inviolabile tana del Chelsea di Mourinho, è forse qualcosa di troppo raffinato per i palati di chi comanda nel calcio italiano.
Dopo il quarto turno di Fa Cup, in programma lo scorso fine settimana, sono rimaste in gara solo dieci squadre di Premier League: eliminate addirittura le prime tre in classifica, oltre al Chelsea eliminati anche Manchester City per mano del Middlesbrough e Southampton dal Crystal Palace. Delle ventuno rimaste, si devono ancora giocare quattro “replay” a campo invertito dopo i pareggi, la metà non vince un trofeo da oltre quarant’anni, quattro hanno vinto l’ultimo prima del dopoguerra (un po’ come se in Italia si fossero qualificate Pro Vercelli, Spezia e Venezia) e quattro (Fulham, Reading, Cambridge United e Crystal Palace) non hanno mai vinto nulla. E se è vero che gli spettatori sono in calo anche in Inghilterra si parla comunque di 360mila spettatori per 16 partite: oltre 22mila ogni match, alcuni giocate in stadi la cui capienza massima è sotto i 10mila.
L’incanto è una competizione in cui la fanno da padrone le piccole. Nel 2008-09 ben nove squadre delle Non-League arrivarono al terzo turno, ci sono squadre amatoriali come lo Yeowil Town che per 20 volte hanno battuto i professionisti e per 24 volte invece squadre che non giocavano in prima divisione sono arrivate in finale, vincendo 7 volte. Il piccolo Bradford City che arranca in terza divisione e sabato sotto di 2-0 batte 2-4 il Chelsea delle stelle e dei miliardi non è un’eccezione, ma la regola che sottende alla meraviglia della Fa Cup. Nell’albo d’oro spuntano nomi come Old Etonians, Royal Engineers, Clapham Rovers e Old Carthusians, ma anche di Sunderland, West Ham e Southampton quando non giocavano in prima divisione, e delle piccole Wigan, Portsmouth e Coventry solo negli ultimi vent’anni. Nulla al confronto della Coppa Italia vinta dall’Atalanta nel 1963 e dal Vicenza nel 1997, o della finale raggiunta dall’Ancona nel 1994. Imprese eccezionali che confermano la regola che in Italia deve vincere il più forte: a discapito del fascino, della meraviglia e dell’interesse.