Anche la Germania scivola verso la deflazione. I dati preliminari dell’ufficio di statistica Destatis sul mese di gennaio evidenziano che, in seguito al crollo dei costi energetici, il tasso di variazione dei prezzi è sceso sotto zero (-0,3% anno su anno) per la prima volta da più di cinque anni. Allineando così il Paese guidato da Angela Merkel al resto dell’Eurozona, in cui a dicembre, secondo Eurostat, il tasso di inflazione si è attestato a -0,2 per cento. Proprio questo è stato uno dei principali motivi che hanno indotto il presidente della Bce Mario Draghi ha spinto per il varo del piano di acquisto di titoli di Stato (quantitative easing) che dovrebbe far ripartire l’economia del’Eurozona e, appunto, riportare l’inflazione su livelli vicini a quello che è l’obiettivo statutario dell’Eurotower, cioè il 2%.
E il calo del costo della vita al livello più basso dal settembre 2009 è un fattore che potrebbe pesare sulle valutazioni del governo tedesco in merito al programma di Draghi. Come è noto, il governatore della Bundesbank Jens Weidmann è fieramente contrario e ha espresso la propria opposizione sia durante la riunione del Consiglio direttivo del 22 gennaio sia nei giorni successivi, paventando il rischio che “le politiche di consolidamento fiscale vengano messe da parte”. Ovvero che i Paesi meno virtuosi ricomincino a comportarsi da cicale, scaricando i costi sui contribuenti tedeschi. Tuttavia la Germania ha ottenuto un compromesso non da poco: il rischio di eventuali perdite sui titoli acquistati – rischio che potrebbe materializzarsi se uno dei Paesi membri facesse default – resterà per l’80% in capo alle banche centrali nazionali, mentre solo il 20% sarà centralizzato sulla Bce.