Tutti d’accordo, nessuno escluso. E anche tutti presenti, con una dichiarazione sintetica e rigorosamente scritta. Praticamente nessuno ripete concetti già detti dagli altri. È una uscita congiunta in grande stile quella dei big tedeschi del comparto automotive. Che, spiega Dieter Zetsche, il numero uno di Daimler, sollecitano unanimemente il cosiddetto TTIP, il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti fra Stati Uniti ed Europa. Gli accordi, secondo i suoi promotori servirebbero ad integrare i due grandi mercati, riducendo dazi e rimuovendo ostacoli anche non puramente economici attraverso l’uniformazione di procedure, standard, norme e regole in tutti i settori. Zetsche precisa che una simile intesa converrebbe non solo ai costruttori, ma anche ai clienti. Secondo un’analisi condotta in Germania e citata da Zetsche, l’accordo porterebbe ai consumatori tedeschi una media di 545 euro in più in tasca.
Secondo Zetsche, il partenariato transatlantico fra Stati Uniti e Europa porterebbe in tasca ai consumatori tedeschi 545 euro in più
Se in Germania i costruttori “fanno la voce grossa”, allora la cosa è seria. Solo Arndt Kirchhoff, in rappresentanza dei fornitori piccoli e medi, che pure dice un sì convinto al TTIP, “osa” qualcosa: “La domanda non è se, ma come”, avverte auspicando il coinvolgimento dei diretti interessati. Un ragionamento che, se venisse accolto, consentirebbe ai molti scettici – soprattutto in campo alimentare e sanitario – di far sentire la loro voce.
Il comparto automotive tedesco contribuisce in maniera significativa all’export e offre un’occupazione stabile a 800.000 persone, come ha ricordato Matthias Widmann, il presidente della VDA, l’associazione di categoria. Gli Stati Uniti sono il secondo mercato per i fabbricanti di auto tedeschi (il primo è la Cina), ma come margine non sono secondi a nessuno con un controvalore di oltre 20 miliardi di euro (620.000 macchine).
Gli Stati Uniti sono il secondo mercato per i costruttori tedeschi, dopo la Cina. I dazi incidono fino al 25% sul prezzo delle auto esportate
Quello che i costruttori non digeriscono sono i doppi parametri, che moltiplicano i costi e riducono gli utili. “Tutti i marchi tedeschi fabbricano negli Stati Uniti e tutti quelli americani producono in Europa”, sottolinea Norbert Reithofer, per qualche mese ancora numero uno di BMW Group. I dazi incidono in modo importante: fino al 25% per gli europei in Nord America e per il 10% per gli americani nel Vecchio Continente. Reithofer parla di un miliardo di euro che potrebbe venire impiegato diversamente rispetto ad obblighi burocratici ed altri adempimenti. L’adozione di una piattaforma comune libererebbe risorse per la crescita.
Una crescita della quale i costruttori europei hanno disperatamente bisogno. Non lo dice in questi termini Bernhard Mattes (Ford), ma lo fa capire con i numeri. Tre quarti delle auto prodotte in Germania vanno all’estero. Nel 2050, con il trend demografico attuale, la Germania avrà appena l’1% della popolazione mondiale e l’Europa il 7%. Significa che ci sarà bisogno di nuovi mercati, perché in quelli si faranno i volumi. Gli standard differenziati, inclusi quelli per i veicoli elettrici, citati espressamente da Matthias Müller, capo di Porsche, penalizzano produttori e consumatori. Per favorire la diffusione di veicoli a zero emissioni servono parametri uniformi, che naturalmente fanno abbassare i costi. Sui crash test, ma anche su fari, ammortizzatori o specchietti retrovisori, i costruttori devono fare il lavoro doppio. Le distinzioni, lamentano i big dell’auto, sono formali, ma la sostanza non cambia.
I tedeschi chiedono parametri uniformi per le auto elettriche e i crash test. Bosch chiede “coraggio e lungimiranza”
Bosch, con Volkmar Denner, chiede alla politica “coraggio e lungimiranza” affinché venga raggiunta l’armonizzazione delle norme. Il sì di Audi a nome anche dell’intero gruppo Volkswagen arriva da Rupert Stadler, amministratore del marchio di Ingolstadt. I costruttori di auto non accettano di “farsi mettere all’angolo” dai critici dell’intesa ed assicurano che gli aspetti positivi dell’intesa sono maggioritari. La domanda senza risposta è quali saranno i risvolti sul lavoro, sulla sicurezza, sulla salute, sull’inquinamento, sulla privacy, sui diritti dell’eventuale intesa. Perché la liberalizzazione senza regole ha creato dei mostri, soprattutto finanziari, assolutamente fuori controllo.
Foto da www.wiwo.de